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Funeral Party

Regia di Frank Oz vedi scheda film

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La recensione su Funeral Party

di ROTOTOM
6 stelle

Il ritorno della farsa. Poiché essa è, senza vergognarsi punto, questo affresco in nero della middle class ritratto nel momento in cui il manierismo formale della buona educazione sfolgora nella sua più pura accezione: il funerale. Ed in cui basta poco, un piccolo intervento esterno che funga da pretesto, per il collasso dell’impalcatura sociale, delle convenzioni assottigliatesi in un esile velo di sopportazione, dello svelamento delle facce dietro le maschere. Nulla da insegnare, nessun intento propedeutico. Nessuna ambizione autoriale se non un sano bisogno di ridere di pancia, del catartico assurdo che tende le vite dei protagonisti fino allo strappo finale, lo sbrago totale di un crescendo parossistico di demenzialità che alla fine ricompone, come tradizione vuole, in modo diverso e più giusto i pezzi di un rigidissimo puzzle umano. C’è lo scambio di pillole che provocano allucinazioni, il pretesto-motore di tutto il film. C’è il sesso, la cacca, il gay, il buono e il quasi buono, l’amico scemo e il vecchio burbero, corollario di situazioni limite che riportate sul tema – morte – risultano già di per sé paradossali. C’è anche un nano e come diceva De Andrè, “il nano è una carogna di sicuro, perché ha il cuore vicino, troppo vicino al buco del culo”. E se Oz nella sua lunga carriera di commediante avesse ascoltato questa canzone la avrebbe inserita certamente come colonna sonora. Il bieco ricatto che il nano infame fa alla famiglia del defunto, dichiarandosi suo amante, con tanto di foto esplicative, è quanto di più vicino ci sia al senso intrinseco della rima di De Andrè. Il film così vola via leggero, preoccupandosi semplicemente di scatenare il riso, intento che nella sua semplicità è ammirevole e sicuramente centrato, grazie soprattutto alla divertita verve degli attori convenuti, tutti caratteristi, chi più chi meno, della recente commedia inglese. Su tutti proprio Peter Dinklage nano di fatto, gigante di mestiere che svetta per bravura. L’ex trainspotting Ewan Bremmer e un giullaresco Alan Tudyk prima vittima delle malefiche pillole che regala una performance di istrionismo espressivo di efficace ilarità. Pazienza poi se si ha l’impressione che le situazioni si ripetano un po’; pazienza se tutto sommato la satira verso le convenzioni sociali e l’ipocrisia dei sentimenti sia solo abbozzata; pazienza se nonostante l’aspetto da “piccoli omicidi tra parenti” che il film millanta, la cattiveria venga disinnescata senza in realtà produrre reali conseguenze; pazienza se il coraggio di affondare la lama nella pancia delle situazioni scabrose
(caratteristica principale della farsa, che nella sua intrinseca natura paradossale ha la capacità di veicolare situazioni oltre il limite senza porsi vincoli di correttezza o coerenza alcuna) viene a mancare in omaggio ad un politicamente corretto di ragione puramente commerciale; pazienza se tutto il potenziale di humor nero che la situazione offre venga solo parzialmente sfruttato; pazienza se il ritmo accusa ogni tanto dei leggeri colpi a vuoto ed evaporino senza risoluzione un paio di linee narrative. Ci vuole pazienza, con Frank Oz, mitico creatore insieme a Jim Henson dei Muppet e del loro immortale show, perché non è un grande regista. Reduce dal flop del thriller The Score in cui riusciva a fare zoppicare un trio di attori da genuflessione (De Niro, Norton, Brando) e soprattutto fautore di quel film risibile e indecentemente ipocrita, nel suo tratteggio del “diverso” esattamente come il mondo degli “uguali” vorrebbe che fosse che è IN & OUT, con un Kevin Kline forse al peggior ruolo della carriera, dimostra una volta per tutte come la sua sia un’idea di cinema profondamente convenzionale, arida di reale scintilla creativa e povera di coraggio, omologata al sentimento dominante del politicamente corretto, quel falso reazionario che ha una paura matta di sporcarsi ed evita accuratamente di farlo, picchiando un po’ qui e un po’ là, ma ammiccando complice che dopo tutto non sta facendo sul serio.
Per farsi la farsa addosso, bisogna avere coraggio, poiché non c’è nulla di più serio della farsa e della deflagrante capacità di demistificazione dei tabù che veicola col riso grasso, quello liberatorio che si sprigiona dalla frantumazione dei pregiudizi. Frank Oz i pregiudizi li ha per primo evidentemente e non si sblocca riuscendo a confezionare un film sicuramente divertente e disimpegnato ma lasciando sul palato degli spettatori più scafati un retrogusto amaro di occasione non pienamente sfruttata.

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