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La ragazza del lago

Regia di Andrea Molaioli vedi scheda film

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La recensione su La ragazza del lago

di ROTOTOM
6 stelle

La Storia. Il cinema italiano in genere è irrimediabilmente attratto dalla Storia, dal suo incipit, dallo svolgimento e dalla fine, che deve essere soddisfacente quanto basta per giustificare la spesa del biglietto e del tempo necessario per assistervi. Testimoni di un’ esecuzione, sembrano gli spettatori. Affacciati alla finestrella in attesa che il veleno faccia ciò che deve, dopo l’inserimento dell’ago e la successiva perdita dei sensi del condannato a morte. Il regista, il boia non deve fare altro che assecondare questa morbosa voglia di fine, di vendetta nei confronti di qualcosa che ne ha provocato il desiderio. La ragazza del lago galleggia tra il cinema di genere, quello che non si prefigge altro che mettersi al servizio degli avvenimenti cercando di renderli i più seducenti possibile e il cinema d’autore, quello dei film glaciali, sospesi, il new romantic noir dove i sentimenti scorrono lenti e inesorabili a tracciare crepe e confini indelebili come cicatrici nelle anime delle persone. Non a caso il film è tratto da un libro norvegese, in cui la natura rigogliosa, da cartolina, assiste attonita ad una fine. Quella della ragazza trovata morta sulle rive del lago, messa in posizione fetale in una stramba rappresentazione del sonno. Galleggia tra i generi il film, senza prendersi la reale responsabilità di una direzione precisa, così attento il regista, Molaioli ex aiuto regista passato in prima linea, a non trascendere in idee e coraggio, affidando il fardello dell’animo tormentato a un raccolto Toni Servillo, facendogli girare intorno una serie di personaggi legati tra loro da un segreto inconfessabile ma le cui facce contrite impegnate nella recitazione “emotivamente consapevole” che millantano non vedono l’ora di confessare. A scanso di equivoci, non è un brutto film, certo non è Le conseguenze dell’amore, a cui fa smaccato riferimento soprattutto per ”l’uso” che fa di un ormai iconizzato Toni Servillo. Bene o male Sorrentino ha fatto scuola, almeno qui in Italia. Sospeso tra un Maigret de noantri e la telefiction “le avventure del commissario Sanzio”, il film snocciola la trama, la dipana passando i rassegna i sospettati, sguaina il cinismo sofferto del protagonista (Servillo/commissario Sanzio) e lega il tutto con il dolore. Nella normale vita del borgo Friulano in cui si svolge la storia, il dolore e la follia connotano i protagonisti della vicenda ed è proprio l’empatica “necessità del dolore” che permette all’indagatore del lago di capire e svelare il mistero. Purtroppo senza alcuna sospensione, con soventi sovrascritture di inutile ridondanza e alcune intuizioni comunque interessanti ma mal gestite, spese in fretta e furia a mera risoluzione dell’enigma, optando per la greve spiegazione verbale di tutto quanto l’impianto drammatico quando il solo uso delle immagini sarebbe stato assolutemente più evocativo. La paura della follia, il senso di impontenza verso la malattia, la sensazione di morte incombente e inevitabile, il contrasto tra la perfezione della natura circostante e la "diversità" che si fa senso di colpa e emarginatore sociale....tutti spunti forti, scomodi, trattati in modo semplice e asetticamente funzionale alla Storia. Senza alcuna pietà, spiegati e sviscerati, disinnescati delle loro potenzialità. La meccanica del film quindi passa attraverso il verbo e come nelle migliori fiction i colpevoli si dichiarano tali, in barba a tutti i Garlasco e i Cogne di cui la realtà quotidianamente si ammorba, risultando alla fine poco credibile. Peccato, perché in fondo in fondo alla triste storia della ragazza morta sul lago ci si affeziona, ai motivi della morte ci si sorprende, le sottotrame rafforzano il tutto concedendo la plausibilità che serve a soddisfare il patto di finzione che si instaura con lo spettatore. Spettatore di una messa in scena però scevra di ricerca ( a parte un paio di scene azzeccate), didascalica e sfiduciata sia nelle proprie potenzialità sia in quelle di chi assiste, come se il boia pulisse per bene il vetro della finestrella dei parenti in attesa di vendetta, per non creare equivoci di sorta sulla effettiva morte del condannato. La fine della Storia.


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