Regia di Sabina Guzzanti vedi scheda film
Sorpresa sorpresa. A Su Pallosu anonima località sarda dalla collocazione topografia incerta, torna l’allegra banda di Avanzi e Tunnel mentre scompaiono le aragoste, prodotto tipico locale in grado di sfamare un pugno di famiglie di pescatori. Sorpresa sorpresa, uno di questi pescatori in passato era stato un sindacalista Fiat durante la crisi degli anni 80 e successiva soppressione con la marcia dei 40.000 E guarda un po’ a Su Pallosu abita in ritiro mediatico da più di dieci anni Pierfrancesco Loche che ancora deve smaltire le provocazioni sessuali di una Guzzanti/Moana che hanno fatto la storia della televisione un po’più libera di come è ora. C’è da farne un film, con tutte queste coincidenze. Un Mokumentary in effetti, un Reality False, un grande freddo nella calda Sardegna, un come eravamo e soprattutto un dove andremo poi. Senza dimenticare il grave problema delle aragoste, che stanche di farsi bollire vive si sono eutanasicamente estinte. Su tutto aleggia un clima di guzzantiano dileggio, un’eco di risposte giuste a domande sbagliate, di dandinismo compiaciuto e fiero di compiacersi dell’attore che si rivela tale e quale a com’è: un attore appunto. Attori in cerca di una parte, del tempo che fu. O forse in cerca di fuggire da quel tempo. I segni sui volti sono profondi e man mano che la combriccola si ritrova nella casa di Pierfrancesco Loche si fanno sempre più marcati i segni nell’anima che ognuno si porta addosso. E allora, i caratteri vengono fuori in tutta l’umanità possibile immaginabile, ognuno interpreta ciò che è e piano piano lo spettacolo da assemblare e scrivere diventa molto più importante dell’intento solidal-crostaceo che si era preposto. Le ragioni dell’aragosta è molto meno politico del precedente Viva Zapatero! ma molto più umano e nostalgico, un pretesto montato ad arte per una vecchia riunione di amici in cui il reciproco riconoscersi dietro le quinte è la vera ragione dell’incontro, piuttosto che il risultato sul palco. Come fantasmi ritornano le nevrosi, le tragedie, gli amori falliti e gli alter ego degli spettacoli di dieci anni fa che resero famosa la banda della Dandini, la politica striscia comunque, inevitabile ferita sanguinante della Guzzanti deux ex machina dell’operazione. L’inganno è costruito ad arte, come un sogno in cui si intersecano piani temporali diversi e tutto appare come un doloroso deja vu. L’accostamento di immagini d’epoca della resistenza operaia, mischiate ad un Masciarelli operaio dall’eloquio alla Agnelli è geniale, così Marina Doria della Reggiani che svolazza tra riprese di camera a mano e battute buttate lì, troppo precise e puntuali per essere veramente spontanee. Ma bene o male tutto arriva fino alla fine, quando tutto è pronto e ognuno avrebbe un buon motivo valido per ritirarsi anche se la gente riempie l’anfiteatro e rumoreggia e le aragoste sbattono le chele dalla contentezza per vedere i loro diritti riconosciuti e i pescatori felici perchè potranno tornare a pescare. Tutto arriva alla fine e sul palco vuoto, negli spalti vuoti si consuma e si svela l’inganno, il prestigio che nutrito dalla svolta ha mantenuto la promessa. Non c’è mai stato uno spettacolo e le ragioni dell’aragosta rappresentano solo il pretesto per continuare a sognare, tornare ad incontrarsi per un motivo qualsiasi e lavorare per uno scopo, qualsiasi esso sia. Un colpo di teatro magistrale per la messa in scena camera in spalla di un sogno in una notte di mezza estate. Una sorpresa, un film così genuinamente falso da risultare malinconicamente vero.
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