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Io non sono qui

Regia di Todd Haynes vedi scheda film

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La recensione su Io non sono qui

di barabbovich
4 stelle

Nove anni dopo aver raccontato lustrini e paillettes della scena rock che ruotava intorno allo Ziggy Stardust di David Bowie (Velvet goldmine), il regista Todd Haynes sfodera un'altra biopic sul mondo del rock, ispirandosi stavolta alle "canzoni e alle molte vite" di Bob Dylan. Anziché seguire la strada convenzionale del racconto cronologico, Haynes disseziona la figura di Dylan in sei diversi personaggi (con altrettante facce e nomi differenti), a ricordare alcuni degli aspetti salienti della vita del menestrello del Minnesota. C'è il Dylan adolescente innamorato delle canzoni di Woody Guthrie (Franklin), il grande poeta folk degli esordi al fianco di Joan Baez, ebreo convertito vent'anni dopo al cristianesimo (Bale), quello della svolta elettrica esplosa sul palco del festival di Newport (Blanchett), quello gnomico che rifiuta il ruolo di moderno Savonarola e in perenne sfida con i giornalisti (Whishaw), quello del grande successo commerciale e della crisi coniugale (Ledger) e infine quella sorta di moderno Tom Joad steinbeckiano incarnato dal fuorilegge Billy the kid (Gere). A corredo di tanto materiale narrativo, Haynes aggiunge l'episodio dell'incidente motociclistico che quasi costò la vita a Dylan, il romanzo ipertrofico Tarantula e molti in­serti da mockumentary. Tantissimo, davvero tantissimo, per il dylanologo più ferrato - costretto comunque a constatare la mancanza di altrettanti spunti: il Dylan lettore feroce di Faulkner, Frost e dei poeti della beat generation (ma compare un somigliantissimo Ginsberg); quello della crisi creativa degli anni '80 e della resurrezione artistica avvenuta soprattutto grazie e Daniel Lanois; quello del neverending tour - al quale riesce comunque difficile ricostruire il mosaico che gli offre Haynes con un montaggio narrativo rapsodico, pieno di spostamenti avanti e indietro nel tempo.
Troppo, decisamente troppo, per chi Dylan non lo conosce affatto o lo conosce appena, a cui nomi come Gaslight o Curious George non diranno nulla e a cui Io non sono qui non potrà che apparire come il frutto di un delirio creativo.
Ad Haynes va riconosciuto un enorme coraggio, a cominciare dal fatto di escludere dal film le tre canzoni più note del repertorio dylaniano (Knockin' on heaven's door - cantata da Antony - e Like a rolling stone compaiono solo sui titoli di coda, mentre Blowin' in the wind non c'è proprio) e a continuare con la scelta di concentrarsi su una porzione della traiettoria artistica di Dylan (quella che arriva alla fine dei '70). Con le sue alternanze di bianco e nero e colore, la sua potenza figurativa, il suo astrattismo narrativo così lambiccato, la sua vocazione visionaria, Io non sono qui finisce col sembrare un film felliniano, curatissimo nella confezione ma complessivamente deludente. Premio speciale della giuria (ex-aequo con Cous Cous di Abdellatif Kechiche) e Coppa Volpi per la miglior interprete femminile a Cate Blanchett alla 64a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia (2007).   

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