Regia di Charles Dance vedi scheda film
Due anziane sorelle, Janet e Ursula, vivono in un cottage in Cornovaglia, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Un giorno le donne trovano sulla spiaggia, davanti alla loro casa, un giovane naufrago, portato lì da una violenta tempesta. Il ragazzo ha la caviglia fratturata, non parla la loro lingua ma capisce il tedesco. Ben presto le donne scoprono che il giovane Andrea (questo è il suo nome) è polacco e rivela un autentico talento naturale per il violino. Nell'accudirlo con ogni attenzione, Ursula incomincia a provare per Andrea un profondo sentimento di affetto che forse sfocia in quell'amore che, da giovane, non era mai riuscita a provare per alcun uomo. L'esordio alla regia dell'attore Charles Dance, qui anche sceneggiatore e che ha tratto il film da un racconto breve di William J. Locke, sembra un curioso e riuscito mix tra il monocorde "Lo straniero che venne dal mare" di Beeben Kedron e il notevole "Le balene d'agosto" di Lindsay Anderson. Dance ha la fortuna di poter contare su due regine della scena, capaci di dare un senso profondo ad ogni immagine con un semplice sguardo, una espressione del volto, un gesto all'apparenza insignificante. Le sublimi Judi Dench e Maggie Smith sono il vero motivo per cui vale la pena vedere "Ladies in lavender", tipico, elegante, film inglese in costume che, dalla sua, ha però anche un delicato, intimo e coinvolgente romanticismo. La pregevole abilità del neo attore regista/sceneggiatore sta, oltre che nel mettere in scena con finezza e credibilità il rapporto tra due sorelle assai diverse ma profondamente legate tra loro (Janet è la più decisa e determinata, Ursula la più sognatrice ed idealista) soprattutto nel rappresentare, con estremo realismo, toccante e partecipe dolcezza, l'infatuazione, quasi adolescenziale, di Ursula per il giovane naufrago. E' infatti nella descrizione dettagliata degli stati d'animo della donna che il film prende il volo, regalando momenti di autentica e sorprendente poesia. L'entusiasmo di Ursula quando insegna ad Andrea l'inglese, servendosi di bigliettini da lei preparati, in segreto dalla sorella, e poi attaccati ai singoli oggetti ("Impariamo parole nuove!" dice a Janet quando la sorella entra nella stanza. "Forse lui, Ursula: tu stai facendo dei buchi nei mobili!" è la seccata risposta di Janet). L'apprensione palpitante quando lo vede scomparire nell'acqua dell'oceano, mentre sta facendo una nuotata con il costume del padre ("Se ci fossero dei buchi nel costume di nostro padre?" chiede preoccupata a Janet che, in risposta, le sorride divertita), dopo che per di più gli ha raccomandato di "non andare dove è profondo!". La sottile gelosia nel vedere che il ragazzo regala un mazzo di fiori da campo anche alla sorella. L'emozione proibita nell'entrare nella stanza di Andrea, di notte, solo per accarezzargli i capelli. L'ammirazione quasi estatica mentre Janet gli taglia i capelli ed il gesto rapidissimo, di nascosto, come un bambino che non vuole farsi scoprire, con cui raccoglie un ciuffo di quei capelli caduti sul prato. Il timore nel constatare la presenza, ai suoi occhi ingombrante, di Olga (di lei infatti dice "A me fa paura: è come la strega di una fiaba"). L'agitazione ed il rimpianto notturni, quando sogna di baciare ed abbracciare, da giovane, Andrea rotolandosi con lui in mezzo al prato. La curiosità intimorita con cui domanda alla sorella Janet, vedova di guerra, se fosse davvero innamorata del marito Peter e se con lui fosse stata felice o avesse sopportato solo sofferenze. L'imbarazzo, quasi la vergogna di provare un simile sentimento d'amore per un ragazzino e la triste consapevolezza di essere "vecchia, sciocca e ridicola", o forse più semplicemente "ingenua" come le dice la sorella, dopo che l'ha scoperta, la notte prima, nella stanza di Andrea ad accarezzare la sua testa, mentre dormiva. Il brivido e la commozione provati quando Andrea, sugli scogli, appoggia la testa sulle sue gambe e lei timidamente, quasi incredula ed impaurita, gli sfiora i capelli. Il dolore straziante ed incontenibile nello scoprire che il ragazzo è partito per Londra con Olga, senza nemmeno salutare. La malinconia nell'accovacciarsi sul suo letto vuoto. La contemplazione, mista a dispiacere e sofferenza per la lontananza di Andrea, nell'appendere nella stanza il ritratto che il ragazzo le ha fatto recapitare. L'orgoglio e l'entusiasmo di assistere al suo trionfale concerto. Il pudore e la riservatezza con cui, insieme alla sorella, si avvicina ad Andrea, dopo la sua esibizione, per congratularsi rapidamente con lui, lasciando poi che "gli venga portato via" e vada dalle altre persone che lo stanno festeggiando, allontanandosi in religioso silenzio (sequenza bellissima, sintesi perfetta di un film che ha il grande pregio di muoversi sempre in punta di piedi, con la gentilezza, la grazia e la discrezione di una anziana, generosa ed amabile signora). Il resto è pura cornice, a partire dal personaggio della pittrice Olga, interpretata dalla brava ma sotto utilizzata Natascha McElhone (già molto apprezzata in "The Truman show" e "Ronin"): è una coincidenza fin troppo facile che la sorella di un celebre violinista si trovi in vacanza proprio nel posto in cui naufraga Andrea, aprendogli così inattese strade verso il successo e l'affermazione personale. Così come superfluo appare il personaggio del dottor Mead, invaghitosi di Olga e pronto, per ripicca, a denunciare alle autorità la presenza del misterioso straniero. Piuttosto risaputo, anche se simpatico, il personaggio di Dorcas, la robusta, burbera ma in fondo buona e comprensiva governante a cui sono affidati i pochi momenti brillanti e ironici del film. Il contesto del villaggio in cui si sviluppa la vicenda, con i suoi abitanti curiosi e sospettosi è inoltre solo accennato, quasi un banale pretesto. Ottimo l'accompagnamento musicale firmato da Nigel Hess, e, va da sé, l'ambientazione nella verdeggiante Cornovaglia, illuminata dalla suadente fotografia del premio Oscar (per "Mississipi Burning") Peter Biziou. Un'opera garbata, tenera ed intensa che parla di un amore fantasticato, desiderato, mai concretizzato, con una purezza e una semplicità di messa in scena e di scrittura rare al giorno d'oggi, evitando peraltro inutili o grossolane melensaggini, ma concentrandosi su un sentimento umanissimo e speciale come può essere la scoperta improvvisa ed inattesa, anche in età avanzata, di un affetto unico, struggente, irripetibile ed indimenticabile destinato, purtroppo, a rimanere un lontano ma denso ricordo che scalderà sempre il cuore di chi l'ha vissuto. Splendido il manifesto originale: un violino sulle acque dell'oceano, nei pressi di una spiaggia. Daniel Bruhl è stato il protagonista del simpatico "Good bye, Lenin". Presentato al Festival di Taormina in anteprima mondiale, ma mai distribuito in Italia, nonostante fosse stato acquistato dalla 01 Distribution che poi lo ha fatto uscire direttamente in dvd. Trasmesso per la prima volta in tv su Rai 1 all'una di notte in un caldo sabato di luglio. Peccato perché con la sua soffusa nostalgia è il titolo per cui le signore potrebbero versare fiumi di lacrime, all'ora del te. Voto: 7
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