Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Tratto dal romanzo bucolico del ‘500 di Honorè d’Urfè, l’Astrèe, questo di Rohmer è uno dei pochi film in costume in cui si sia cimentato. L’ultraottantenne regista mette in scena l’amore dolce tra due giovani divisi da un destino beffardo, cosa che richiama più di un eco shakespeariano. Girato nella valle della Loira in ambienti naturali e incontaminati è un inno alla natura dell’amore, puro e privo di qualsiasi malizia, recitato in francese antico si compone di dialoghi in versi e canzoni d’antico sapore medieval-cortese. Druidi e ninfee, amorini e dei abitano questi luoghi magici e accarezzati dai suoni della natura, raccolta attesa e registrata in presa diretta in una messa in scena che vorrebbe essere di grande pulizia formale e di raffinata rarefazione. Peccato che il film sia un mattone di pesantezza basaltica. La rarefazione si trasforma in mancanza di idee nonostante le 5000 pagine del romanzo, la pulizia formale in realtà si concretizza in sciatteria senza scusanti. La trasposizione letteraria solo sfrondata e ridotta per lo schermo ma non attualizzata, si ammanta di un effetto ridicolo involontario nell’irritante ingenuità dei testi e nell’insopportabile banalità della storia raccontata instillando nello spettatore, più che la magia per una storia d’amore d’altri tempi una ben più attuale predisposizione alla conciliazione del sonno se non addirittura all’abbandono della sala. Un’opera che dovrebbe fare delle parti musicali un punto di forza, si rivela invece di sconcertante fastidio sonoro, nel doppiaggio di qualità infame, nelle canzoni di risibile valore artistico riducendo il tutto a stornelli malamente adattati da voci senza alcuna predisposizione al canto. Lungaggini che vorrebbero essere sospensioni narrative, ripetitività, maldestra gestione dei tempi e della scena, montaggio scandaloso e monotone ridicolaggini esposte senza vergogna che vorrebbero alludere alla leggerezza della commedia mentre il bucolico rincorrersi nel bosco declamando versi all’aere già dopo venti minuti risulta solamente di un tedio inaffrontabile. Opera coraggiosa, ma assolutamente indifendibile, pessimo esempio di autorialismo senza autocritica, presuntuosamente possibile solo se si ha un nome come Rohmer, una lunga carriera alle spalle e per fortuna molto poco tempo davanti.
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