Regia di Mike Binder vedi scheda film
Il film scorre in funzionale lentezza, in realtà ci addomestica a ritmi contratti, rilassati. I ritmi di una memoria che bolle sotto cenere appena tiepida.
Col reiterarsi di amabili siparietti ricorrenti, spazi e luoghi coi quali prendiamo confidenza mano a mano, come con i due protagonisti che si rincontrano casualmente dopo anni dal college che li ha visti studiare assieme per catapultarli, poi, nella vita.
Quella stessa vita che ne ha bruscamente maltrattato uno privandolo dell'intera famiglia con la tragedia dell'11 settembre ed imbottigliato l'altro tra soffocanti doveri familiari e schemi lavorativi.
Li incontriamo, estranei a noi, e li conosciamo pacatamente, entriamo con delicatezza nelle loro vite, in punta di piedi, ne studiamo azioni e reazioni, condividendone tic, fobie, sfoghi, passioni, silenzi, titubanze e voglie di ribellione.
Acquisiamo familiarità con i loro tempi, e con i loro cari, i vicini, i colleghi, gli amici, fino a percepire quel senso di agitazione che può unirli. E che li unisce.
E ne fortifica la voglia di continuare a scorgere, comunque, un orizzonte possibile.
Un nuovo orizzonte, o semplicemente un differente punto di vista.
Apprezziamo cosi, di minuto in minuto, il lieve incedere cittadino del monopattino a motore di Charlie, le sue infinite partite a playstation a combattere un mostro, quello si, con la pratica, forse addomesticabile, lo smontare e rimontare una cucina od il camminare per casa senza scarpe, come piaceva alla moglie, e quelle cuffie dove suona il mondo perfetto.
E ci riconosciamo negli interrogativi e le frustrazioni di Alan, nei tentativi di emanciparsi dalla monotonia di orari, emozioni in naftalina, abitudini, doveri, lo sforzo di ricondurre Charlie in una dimensione consueta per recuperare, con lui, anche un/il suo equilibrio.
Cosi come riconosciamo quel percepire la leggerezza d'essere - una brezza di libertà - colta nell'eccentrica e disordinata vita dell'amico ritrovato, sconvolto si, dagli avvenimenti, ma auto affrancatosi dal doverne rendere conto convenzionalmente al mondo intero, rimanendo a coltivare in estrema intimità un dolore tutto personale.
E tanto di cappello ad un atipico Sandler che si muove tremendamente a suo agio tra sorrisi, evanescenza, straniamento e collera, a Cheadle che rispecchia con estremo candore tutto lo scibile delle umane perplessità, ma anche a tutta una serie di comprimari perfettamente in parte. Nota doverosa poi, per un monumentale Sutherland che, gratificato da un pur breve scampolo di sceneggiatura gioiello, calamita emozione sbaragliando il campo con estrema maestria.
C’è, si, del mestiere, della retorica ed anche della furbizia, come fatto notare obiettivamente da altri utenti, Degoffro su tutti, ma il cinema che t’incastra esiste, il cinema che ti fa volare oltre, che può raccontarti mille favole una volta sedotto.
Ed io, almeno stavolta, alzo bandiera bianca.
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