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Shrek terzo

Regia di Chris Miller, Raman Hui vedi scheda film

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La recensione su Shrek terzo

di lussemburgo
6 stelle

Nell’universo delle favole, tutto è rappresentazione, messa in scena fittizia di paure reali, leggende o folclore che assumono senso in corpi fantastici e storie irreali. Nell’universo di Shrek, dove le favole sono reali, tutto rimane rappresentazione, messa in scena fittizia di stereotipi veri traslati in luoghi irreali. In questa parodia dell’America hollywoodiana, dove Molto Molto Lontano è il regno magico di Beverly Hills, trovano largo spazio le finzioni teatrali di Azzurro, Principe predestinato e sfigato, che riacconcia il mondo al suo volere, raccontando la favola bella della sua vittoria sulle forze del brutto in un trionfo fittizio di effetti speciali. Il gioco di specchi è ardito e arguto nel terzo capitolo di Shrek, orco erede indegno di un regno incantato in cui i personaggi delle favole si animano di vita e cliché, prigionieri di una narrazione preesistente da cui non possono emanciparsi davvero. Rimangono necessariamente riconoscibili, perché in quei termini noti e perenni il personaggio ha la sua esistenza e ragion d’essere, nei limiti imposti dalla ripetizione le linee guida di comportamento, il raggio d’azione e di esistenza. Ma il sequel del proseguimento impone ben altri dogmi, conformando ai canoni noti e alla doppia, stretta briglia della tradizione e della prosecuzione ogni via di fuga originale, in un giro di valzer di varianti ipotizzate per essere scartate.
Con le poche aggiunte al cast d’origine, l’opus terzo propone e dispone sconvolgimenti soltanto virtuali, giurando fedeltà al dato ben noto di un mondo immaginifico sempre più verosimile, gravato però dai lacci di uno scontato ancoraggio ai modi e mezzi della vita americana, delle citazioni musicali e cinematografiche, un regno fatato fin troppo suddito del suo pubblico reale, da cui farsi riconoscere e amare. Se Shrek è troppo sgraziato per essere dignitoso regnante nella messinscena del potere di fronte agli astanti in una cerimonia ufficiale, allora deve trovare un sostituto più decoroso e decorativo, più adeguato al gusto diffuso. E in fondo è quel che chiede Azzurro, essere ciò per cui è stato disegnato e designato, rientrare nei ranghi del proprio ruolo istituzionale, narrativo o esistenziale. Eppure è lui il nemico vanesio, la minaccia costante di un ritorno all’ordine consueto, inconsapevole metafora della sua stessa nemesi, della favola in cui è raccontato che rientra fedelmente nei ranghi consueti dei canoni imposti dai racconti precedenti.
Shrek terzo manca di novità e ritmo, si appesantisce in messaggi scontati, si salva per la grafica perfetta e l’illusione ormai completa. Ma è solo illusione di libertà, di potenzialità illimitata e inespressa. Tutto è riflesso da uno specchio deformante, che nella caricatura attenua il divertimento, recuperando quanto possibile da quanto già scritto. Se tutto funziona, non molto sorprende, intrattiene senza tanto coinvolgere perché la formula magica, diluita, ha perso vigore.

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