Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Il cinema di Takashi Miike non mi convince sempre, e "Sukiyaki Western Django" non è stato nemmeno tra i suoi lavori più apprezzati dal pubblico dell'Ovest. Com’è facilmente intuibile dal titolo altro non è che il primo vero remake dell’omonima pellicola di Corbucci, in quest’occasione ovviamente ambientato in un singolare quanto affascinante Giappone “eastern” dove l’impavido pistolero Gunman (il solerte Hideaki Ito) si ritrova in un villaggio occupato dalle bande rivali dei “Bianchi” e dei “Rossi”, propensi a spargere terrore tra la folla mentre cercano un misterioso tesoro. Verrà in aiuto l’altrettanto inesplicabile Ruriko (l'accattivante Kaori Momoi), donna anch’essa dal passato incerto e dalla vena vendicativa, cresciuta sotto l’influenza di un rude pistolero (niente meno che Tarantino in persona) in grado di insegnarle “i trucchi” del mestiere. Nel calderone delle due ore di lungometraggio ci si può sbizzarrire in appelli spaghetti-western piuttosto caricaturali (ma non troppo schematici), scontri sanguinari eccentrici e stravaganti (ma dalla messa in scena arguta), flashback diagnostici enfatizzati e sopra le righe, dalle inusuali tanto stranamente accoglienti scenografie di cartapesta, dove lo sfizio per la settima arte non viene mai sottratto al formalismo manicheo, e degli anti-eroi sicuramente graffianti e veementi ma non compiutamente tratteggiati come in realtà si vorrebbero. La sceneggiatura, inoltre, è continuamente sul punto di stramazzare nel varco della prolissità stiracchiata ma non precipita mai nell’abisso della mediocrità, grazie ad un controllo abbastanza attento della narrazione, sebbene la trama non sia pienamente coinvolgente, e soffra di una certa ripetitività; oltre a ciò, c'è da aggiungere una scansione finale della vicenda non esattamente edificante (dovuta forse a qualche sforbiciata di troppo nella versione europea?). Il risultato conclusivo, dunque, è tutt’altro che un tripudio citazionistico e l’adattamento "levante" dei miti e delle leggende del western occidentale pare in definitiva ridondante ma pur sempre esilarante e di lepida visionarietà. E malgrado il film non sia un prodigio di retroguardia tecnica, non si può non chiamare in giudizio la fotografia caldissima e colorata di Toyomichi Kurita, la quale sia nei suggestivi paesaggi innevati che nelle impetuose battaglie a colpi di katana e pallottole sotto il sole cocente, non fa che intingere di un gradevolissimo poeticismo gli "scabrosi" fotogrammi.
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