Regia di Paul Haggis vedi scheda film
Assegnare il titolo ad un “qualcosa” è sempre impresa non facile e, in questa occasione, chiunque ne sia stato l’artefice, codesta scelta risulta ponderata e rappresentativa come in rare occasioni accade. Attirata dalla presenza di Tommy Lee Jones, che adoro spudoratamente, e di Charlize Theron, una delle pochissime attrici che riesco sinceramente ad apprezzare, avevo il desiderio di recuperare questa pellicola che, anche per l’insolito titolo oltre che per il cast, aveva catturato la mia attenzione.
Qui dove la giustizia è la vera protagonista si denota, non poco, l’angoscia sui volti degli attori nell’interpretazione dei loro ruoli, con un senso di rispetto verso il dramma umano dell’uomo che cambia e cede alle debolezze, facendole passare per atti di coraggio o dimostrazione di falsa virilità per sentirsi all’altezza di coloro che si credono “uomini”. Il senso di oppressione però è davvero eccessivo e induce lo spettatore a perdere, in più occasioni, l’interesse verso il film e ad amplificare l’insofferenza per l’attesa del finale.
La ricerca della suddetta virilità e l’originario desiderio di accettazione, che ogni figlio persegue nei confronti del genitore, risultano essere i due aspetti su cui il film di Haggis si concentra, ed ecco che rispunta fuori il titolo che fa riferimento alla lotta biblica, nella valle di Elah appunto, che si svolse tra il gigante Golia (l’America) e Davide (il soldato) con tanto di commovente interpretazione (della storia) da aprte di Charlize Theron al figlioletto affascinato (e chi non lo è?) dal racconto di Tommy Lee Jones, rude ma padre che ha perso tutto ciò che un padre può perdere.
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