Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Con Peter Greenway il grande schermo si apre, fino a mostrare i propri confini, i limiti dell’illusione, oltre i quali si estende il regno infinito e indistinto del fuori campo. In questo film egli propone, per il cinema, l’equivalente della cornice di un dipinto o del perimetro di un palcoscenico: la visione circoscritta all’obiettivo ci restituisce così uno sguardo momentaneo e parziale, in cui i personaggi interpretano le emozioni dell’istante, i pensieri provvisori non ancora sottoposti alla prova della verità, le fantasie incompiute e sospese come i sogni che sfumano nel dormiveglia. I corpi sono immersi nelle messe in scena della storia, ma le menti vagano oltre, alla ricerca di una visione di insieme che superi la precarietà, e che però continua a sfuggire. La pittura di Rembrandt cattura un attimo di finzione, di atteggiamenti inventati, di maschere malamente sovrapposte alle vere identità degli attori: un dipinto come La ronda di notte è, nella sua complessa e corale ambiguità, il geniale ritratto del conflitto tra realtà e apparenza, tradotto in tante piccole schermaglie tra ipocrisia e sincerità. È un caleidoscopico pezzo di mondo, che, con i suoi modelli scelti ad hoc ed i suoi elementi simbolici, racconta la vita per frammenti rappresentativi, ossia per campionatura e trasposizione metaforica, come il teatro e la poesia. D’altronde l’arte è forse, per definizione, la trascrizione cifrata di ciò che si è compreso: un collage di messaggi in codice che punteggia di piccole finestre colorate l’immenso buio che abbiamo intorno.
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