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Michael Clayton

Regia di Tony Gilroy vedi scheda film

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La recensione su Michael Clayton

di barabbovich
4 stelle

A Hollywood conoscono due modi per raccontare le storie a patchwork, quelle "opere aperte", come direbbe Eco, che si basano sul meccanismo dell'antinarrazione e che fanno dell'ipertesto il loro cavallo di battaglia: quello in cui il plot narrativo a mosaico è uno stratagemma per carpire a fondo la curiosità dello spettatore, mostrandogli un meccanismo ad orologeria ad altissima precisione e quello, tracotante, di chi fa dell'espediente narrativo la scorciatoia per celebrare presunte opere d'autore, condannando lo spettatore a una noia mortale. Il primo modo appartiene a registi come Alejandro Gonzalez Inarritu e Paul Thomas Anderson o a sceneggiatori come Paul Haggis, il secondo a gente a un passo dal solipsismo come Tony Gilroy. Lo sceneggiatore dell'intera serie che ha per protagonista Jason Bourne e di film insignificanti come L'avvocato del diavolo e Armageddon passa per la prima volta dietro la macchina da presa per raccontare la storia vera di Michael Clayton (Clooney), esattore presso un prestigiosissimo studio legale newyorchese e con un debole per il tavolo da gioco. Abituato a fare l'aggiustatutto alla maniera del Mr. Wolf interpretato da Harvey Keitel in Pulp fiction, Clayton si ritrova per le mani una grossa grana:  Arthur Edens (Wilkinson). Arthur è uno dei legali dello studio per il quale lavora Michael e ha in mano prove scottanti che dimostrano che una multinazionale ha causato il cancro a centinaia di persone attraverso le infiltrazioni di diserbante nelle falde acquifere. Ma Arthur è anche mezzo pazzo e questa è la carta che gli avvocati di parte avversa cercano di giocare contro di lui. L'uomo non demorde, loro passano alle maniere forti e Clayton si ritrova con la patata bollente in mano, giocandosi magnificamente l'ultima carta che gli rimane. Detta così quella di Michael Clayton sembrerebbe una storiellina edificante con tanto di happy ending alla maniera di Erin Brockovich. In realtà il film è inutilmente lambiccato, pieno zeppo di situazioni e personaggi che non sono affatto funzionali alla storia (i parenti, il riccone messo nei guai per via di un incidente, eccetera) e tutto sembra avere un'aria assai snob e terribilmente rapsodica che l'ultima mezz'ora, durante la quale il film riannoda finalmente i fili, arriva allo spettatore come un'autenica liberazione.
Premio Oscar a Tilda Swinton quale migliore attrice non protagonista.

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