Regia di Paolo Franchi vedi scheda film
Ci sono punti di convergenza tra il mondo dell’arte e quello dell’usura, tra una Torino glaciale e una Svizzera affarista, tra un mancato padre e un figlio che cerca la propria identità? Il secondo film di Paolo Franchi, che aveva colpito tutti con la pellicola d’esordio La spettatrice, è incentrato su questi temi. È invece molto secondaria la scena di sesso che ha per protagonista Elio Germano che è stata chiacchierata molto prima di essere vista, e che alla fine si è rivelata un boomerang comunicativo per il film. Ma il rigore della fotografia, delle scene e delle inquadrature getta una luce non italiana ma europea sull’intera storia, e nella vicenda raccontata ci sono spunti per una fenomenologia del racconto che ha pochi paragoni possibili nel cinema italiano di oggi. Come in un sottile gioco al massacro, siamo trascinati proprio come i protagonisti del film nel baratro che sottende molte cose della normalità quotidiana. Paolo Franchi ha più volte dichiarato di apprezzare il cinema di Michael Haneke, il regista austriaco che si è fatto conoscere in tutto il mondo per il freddo rigore dei suoi mostri. Qui i mostri, forse, non sono neanche tali: proprio come gli spietati banchieri che praticano senza esitazioni l’usura nei confronti dei propri clienti. Anche per essere mostri, infatti, ci vuole una dignità.
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