Regia di Paolo Franchi vedi scheda film
Puzzle espressivo.
Presentato a Venezia 2007 fra i fischi congiunti di pubblico e critica, Nessuna qualità agli eroi è un film sgradevole, poco italiano, che non vuole piacere. Ed è un bene.
Il film di Paolo Franchi racconta l'impotenza tenendo ferme le immagini, l’inquadratura, dilatando i tempi di ripresa. Gli attori sono bloccati, vivono e 'muoiono' all’interno dei quattro lati dello schermo. Il décor stesso suggerisce un’immobilità e una freddezza persistenti, che costringono i personaggi alla prigionia. La prima inquadratura di Nessuna qualità agli eroi è in questo senso particolarmente significativa: un uomo (Bruno Ledeux, interpretato da uno spaesato Bruno Todeschini) è seduto, lo sguardo abbassato, fissa il vuoto; poi si alza, prova ad aprire la finestra, ma questa è chiusa ermeticamente, non si apre. Un gesto che non si conclude, o meglio, che fallisce. Subito è suggerita tutta l’angoscia e l'impotenza del protagonista.
Franchi, con coraggio, riflette sull'impossibilità dell'inquadratura di 'dire' tutto, di esprimere la totalità delle proprie informazioni. Un'impossibilità, un blocco, una stasi d'espressione, che è poi la stessa che colpisce tutti i personaggi del film – quelli maschili per primi.
Nessuna qualità agli eroi somiglia a un puzzle intricatissimo, a cui mancano addirittura alcuni pezzi: un puzzle che è compito dello spettatore mettere in ordine. Pertanto l’originalità del film di Franchi, nel panorama italiano soprattutto, è evidente.
Nessuna qualità agli eroi è parlato in francese e in italiano (il tema dell’incomunicabilità), non spiega, abusa di atmosfere dark, di immagini pittoriche e violente. E chiede allo spettatore di lavorare, pensare… Forse è proprio questa sfida, rivolta esplicitamente a chi guarda, che ha fatto arrabbiare il pubblico e la critica nostrani, abituati ad esprimersi in questi casi soltanto con fischi o schiamazzi. Il film di Franchi, d’altronde, si offre 'generosamente' alla sensibilità di ciascun spettatore, pure nei suoi difetti (alcuni palesi: un’eccessiva verbosità, quasi alla Breillat – ma siamo ancora lontani da qualunque effetto di straniamento filosofico –; un apparato teorico fin troppo evidente). Ma non si possono negare a Nessuna qualità agli eroi l’ambizione e lo sguardo di un autore che è davvero tale, europeo finalmente, non standardizzato (parlo anche e soprattutto del cinema d’autore a buon mercato, quello che ormai sembra aver conquistato, tanto per non far nomi, il 'nostro' Sorrentino), un artista che ha il coraggio di stilizzare e violentare le sue visioni, che diventano angosciose (memorabili alcuni immersioni nell’oscurità, e gli squarci di luce bianca asettica di certi interni), non consumabili immediatamente, attraversate come sono da disturbanti suggestioni baconiane (la scena di Luca, un Germano straordinario, cadaverico, che tenta di vomitare; tutte le discusse scene di sesso, anche se il fallo posticcio dell’attore romano è un imperdonabile passo falso).
È dunque un cinema della forma, quello che tenta Franchi, di innegabile fascino.
Nessuna qualità agli eroi non è solo un thriller, un noir esistenziale: è prima di tutto cinema. Luca è il doppio di Bruno? Tutto è un’allucinazione del protagonista? Domande che non ottengono risposta, per fortuna, e che rimangono sbiadite sullo sfondo. Contano di più le impennate espressive, l’atmosfera. Franchi spoglia il film di qualsiasi dato sociologico (il tema del debito è lasciato subito cadere), per concentrarsi sui piani, sulle facce dei suoi attori; e contemporaneamente spoglia sempre di più l'immagine di cose e informazioni immediate – il dolore dei protagonisti viene espresso visivamente.
Il risultato a cui approda il regista è paradossale: il film ritorna al punto di partenza. Qualcosa però è cambiato: Bruno porta un maglione rosso e una giacca nera che gli arriva ai fianchi, mentre nella prima inquadratura del film indossava maglia nera e giacca fino alle ginocchia; l’arredamento della stanza cambia colore (da bianco a nero). Ci si chiede: bastano queste differenze minime a definire un’immagine? Basta cioè cambiare un colore, l’arredamento di una scena, a 'dire' qualcosa di più, di diverso, a chi guarda? Domande molto concettuali, certo, che a qualcuno suoneranno anche vecchie, e magari poco interessanti. Sarà. Ma il film turba e scuote, respinge e affascina. E non è poco.
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