Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film
Film di gran classe, questo "Sleuth", basato tutto sul piacere della parola, del gesto, della comunicazione, del dialogo. Ecco, il dialogo, questo elemento così sottovalutato nel cinema di oggi, dove il meccanismo psicologico del rapporto fra due persone spesso viene subordinato rispetto ad altri fattori, quali l'azione, la fisicità, o la ricerca dell'effetto visivo. In un film dove compaiono due soli attori in continuo confronto fra loro, il dialogo diventa il protagonista assoluto, con tutto ciò che questo comporta. Ad esempio diventa importante non solo il pronunciare battute, ma anche il rapportarsi con le battute altrui, cioè l'espressione del viso di un attore mentre ascolta ed osserva il suo interlocutore. In altri termini, un copione dove due attori non fanno che porgersi battute non può che essere, per entrambi, un saggio di bravura. E così è nel nostro caso dove il saggio -appunto- è clamorosamente intenso ed efficace. Personalmente, visto che amo i virtuosismi d'attore, assistere ad una tale gara di bravura mi ha procurato un piacere immenso, col solo rimpianto che occasioni di questo genere sono ormai merce sempre piu' rara al cinema. Pellicola elegante ed essenziale, dunque, quanto rigorosa ed appagante per chi ama un cinema senza fronzoli ma attento alla costruzione psicologica dei personaggi, dove anche le minime sfumature di un gesto o di una domanda/risposta appaiono importanti nell'ambito di uno scambio continuo ed incalzante di comunicazioni (e reazioni) fra i due protagonisti. So bene qual'è il rischio principale di un'opera del genere: quello di compiere un'operazione innaturale del tipo portare il teatro nel cinema, il piu' delle volte generando qualcosa di forzato o di noioso. Beh, qui un grosso aiuto in senso positivo l'ha dato il genio di un regista come Kenneth Branagh, regista che io conosco tutto sommato piuttosto poco, ma che mi risulta non nuovo nell'intento di conferire forti valenze teatrali nel mondo del cinema. Infatti il film è avvincente e stimolante nonostante nell'impianto sia molto prossimo alla pièce teatrale. E non nascondo che la visione del film mi ha suscitato un forte desiderio di vederla a teatro (quando e se sarà possibile) questa splendida messa in scena. Stavo dimenticando che i dialoghi al vetriolo cui accennavo sono opera del celebre drammaturgo inglese Harold Pinter. Ma va detto anche che la prima versione originale di quest'opera risale al 1972, sotto la direzione di Joseph Mankiewicz e che già aveva i connotati del cult movie, e dunque Harold Pinter ha in realtà rielaborato il testo originale di Anthony Shaffer. Ma poi ci sono una serie di curiose circostanze che collegano i vari personaggi che hanno collaborato alla realizzazione del film. Caine, per esempio, aveva (nel 1960) interpretato a teatro l'opera prima dello stesso Pinter, intitolata "The room". Poi Jude Law aveva a suo tempo reinterpretato in "Alfie" uno dei personaggi piu' celebri impersonati da Caine nella sua lunga carriera. Ma la cosa piu' interessante da rimarcare è che nel film originario di Mankiewicz lo stesso "Sir" Michael Caine rappresentava proprio quel ruolo che nel film attuale è interpretato da Jude Law, quasi a voler significare fra i due una sorta di passaggio di consegne. Nel primo film -per inciso- il ruolo ora di Caine era affidato al supremo Lawrence Olivier, che molti reputano il piu' grande attore di tutti i tempi. E io non posso, anche in questo, non vedere un ideale passaggio di testimone Olivier-Caine, dato che peraltro considero Michael Caine il piu' grande attore vivente. Come sempre, per il sottoscritto vedere sullo schermo quel suo faccione sornione è un piacere immenso, e sembra perfino migliorare invecchiando. Ma se per Caine il mio entusiasmo era prevedibile, cosa dire di questo rinnovato Jude Law? Confesso che mi ha sorpreso: io lo avevo sempre un pò visto come una specie di "bello senz'anima", spesso intento piu' a "posare" che a recitare. Beh, qui offre una prova davvero eccellente, sfumata, intensa. E una ulteriore prova che Law è un attore in crescita anche "intellettualmente" è data dal fatto che il suo nome figura tra i produttori della pellicola e che, lui personalmente, ha cercato (e ottenuto) la collaborazione di Harold Pinter. In questa messa in scena minimale, i dettagli assumono rilevanza, tipo la geniale scenografia: gli interni della casa dello scrittore appaiono costruiti come un ideale palcoscenico...l'arredamento è freddo, moderno ed essenziale...ma ciò che piu' colpisce sono le diavolerìe ipertecnologiche di cui il padrone di casa ama circondarsi, in apparente contrasto col verde della campagna in cui è immersa la villa. E tutto ciò fa da sfondo alla superba sfida tra i due protagonisti, un gioco sottile che a tratti si fa anche estremo, e che si sviluppa magistralmente fino ad un atto finale che è inopportuno svelare. Un susseguirsi di orgoglio, simulazione, desiderio di vendetta, ambiguità (a fiumi), inganni, piccole esplosioni di follìa, squarci di umorismo british, e perfino, nel sottofinale, qualche suggestione di omosessualità latente: per dire che le emozioni non mancano. E non oso pensare a cosa sarebbe se visto in versione originale coi sottotitoli.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta