Regia di Joe Wright vedi scheda film
La linea stilistica di Wright, al suo secondo lungometraggio, inizia a farsi chiara, grazie all'uso di scenografie e costumi quasi rarefatti e, in generale, un accorto utilizzo del kitsch spalmato su un melodramma confezionato alla perfezione.
È una storia di colpe e tentativi di redenzione questo Espiazione di Joe Wright. Espiazione di un peccato giovanile, di un danno ingiustamente arrecato, quindi, in un certo senso, una messa in discussione dell'immaginazione stessa: strumento potenzialmente al servizio di entrambi i momenti del film, il tradimento e il perdono. Con un'azzeccata mise en abyme, l'autore gioca coi tempi del racconto e i vari punti di vista, così che l'occhio e la realtà smettano di coincidere e al narratore non resti che mostrare l'inganno insito nella sua arte: manovrare la storia al fine di donare "un atto finale di gentilezza", così che la disperazione di un'ipotetica Dunkerque si trasformi in una leggiadra danza in pianosequenza, tra cadaveri e giostre spensierate.
La linea stilistica di Wright, al suo secondo lungometraggio, inizia a farsi chiara, grazie all'uso di scenografie e costumi quasi rarefatti e, in generale, un accorto utilizzo del kitsch spalmato su un melodramma confezionato alla perfezione. Come nelle tragedie greche, i suoi personaggi sembrano consci della presenza di una forza superiore, ma non si tratta del fato o delle divinità, bensì del regista e della sua regola: quella teatrale.
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