Regia di Woody Allen vedi scheda film
Due fratelli della Londra che si arrabatta per stare al passo con la frenesia del benessere - uno giocatore schiacciato da un debito spaventoso, l’altro frustrato dalla posizione sociale - chiedono un prestito al ricco zio tornato dalla Cina. Lui, figurarsi, è più che disposto ad aiutare il sangue del suo sangue, a patto che i nipotini siano pronti a versarne dell’altro, quello di un rivale in affari dalla bocca larga. Che fare? Ultimo capitolo della trilogia londinese di Woody Allen, dopo Match Point e Scoop. Di nuovo lontano dalla commedia, il film insiste invece sui toni noir e sulla totale mancanza di speranza in una umanità avida e priva di scrupoli. La terra di Shakespeare ha dunque instillato nel mite profeta di Manhattan pensieri e visioni oscuri, ma lo ha anche retrocesso a illustratore di storie stanche e meccaniche, dove lo spessore etico dell’insuperato modello di questo suo filone (Crimini e misfatti), nella ridondanza delle situazioni e delle descrizioni psicologiche, diventa moralismo di maniera. Decisamente, Allen ha perso il tocco caustico e difetta perfino in ironia; tutti gli attori coinvolti, naturalmente bravissimi, non solo recitano a comando, ma sembrano sempre impegnatissimi a impersonare Woody che interpreta i rispettivi personaggi, come se le riprese fossero un prolungamento delle prove. Non restano memorabili, le performance si perdono nei singoli momenti di eccellenza, tutto si scolora tra i rivoli di una sceneggiatura che non decolla mai. Poi, certo, parliamo di un grande regista, capace per esempio di cogliere certi interni di grigia vita londinese con l’occhio curioso e attento di chi viene da fuori, ma a mancare è il “romanzo” che ti inchioda dalla prima all’ultima immagine, l’attesa per il compiersi di destini ai quali le regole auree del noir impongono di non rassegnarsi mai. In nome del suo cinema glorioso, è giusto accontentarsi ora di una simile routine?
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