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Benvenuti ovvero vietato l'ingresso agli estranei

Regia di Elem Klimov vedi scheda film

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La recensione su Benvenuti ovvero vietato l'ingresso agli estranei

di EightAndHalf
8 stelle

Difficile che qualcuno non l’abbia già detto, ma Benvenuti ovvero… è davvero lo Zero in condotta sovietico. Benché in ambito di qualità non si possa minimamente paragonare (il film di Vigo ha una forza trascinante ben superiore), il film di Elem Klimov (tra i primi che mai realizzò) stupisce in positivo soprattutto pensando al periodo storico in cui venne realizzato: una spinta vitale e uno sfogo (visivo, tematico, stilistico) davvero inimmaginabili, per un cinema sovietico desideroso di guardare oltre, anche a certo cinema europeo (che ci sia Vigo dietro, non c’è dubbio). È vero che è anche la fase in cui sale al poter Breznev in URSS, che pure sulla scia di Kruscev concesse maggiore apertura nei confronti dell’Occidente, ma siamo ben lungi da quell’apertura mentale possibile solo dopo la caduta del Muro di Berlino. Eppure gli influssi occidentali si sentono, anzi, la maestria di Klimov (qui giocosa e inarrivabile) riesce a rendere una bislacca ed elementare storia di bambini una visione universale dell’infanzia e del ruolo del ribellismo all’interno della stessa. La rottura con i precettori di una sorta di colonia (“campo”), che sembra sempre simboleggiare le dimensioni comunitarie cui tanto ambiva una certa porzione di comunismo, sembra proprio la rottura con una chiusura e uno schiavismo che sono leggibili in termini politici come la speranza in un futuro migliore, appunto, con Breznev (speranza nella volontà di cambiamento), in termini universali come la lotta della vitalità istintuale contro la rigida logica degli adulti, spesso talmente presi dalle loro ossessioni quotidiane da divenire mascherine risibili e quasi irresistibili. Un ostentato ribellismo, infantile se non fosse per adulti ancora più infantili, che cede all’anarchia, a una dimensione di sollazzo visivo negli ultimi fracassanti momenti di questo piccolo grande film abbastanza dimenticato oppure mai ben distribuito.

 

Non ci sarebbe poi tanta differenza da certi filmetti moderni da quattro soldi tutti su misura di bambino, se non fosse che Klimov è fatto di tutt’un’altra pasta, e che ha fatto il suo film proprio in Unione Sovietica, proprio nel ’64, proprio sulla scia anche di certe nuove correnti cinematografiche tese verso l’ammodernamento di vecchi stilemi (qui siamo lontani dai musical filo-comunisti di Ivan Pyr’ev). La rottura generazionale fra giovani ansiosi di vivere e adulti ossessionati e ossessivi è osservata da Klimov proprio dal punto di vista dei più piccoli premendo il pedale non solo dell’immediata tenerezza (sono proprio i più piccoli in scena per la maggior parte del tempo), ma anche della fantasia onirica. Il piccolo protagonista, Inochkin, espulso per una serie di scorrettezze fra cui l’aver raggiunto senza permesso un’isoletta lontana dalla costa in cui abitualmente trascorrono certe mattine tutti i bambini, è costretto a fare una vita da clandestino nascondendosi nel campo sotto un piccolo palchetto di legno, per evitare di tornare a casa dalla nonna e farle venire un magone nell’eventualità che venisse a sapere dell’espulsione del nipote. Tutti gli altri bambini collaborano al suo nutrimento e alle sue necessità, mentre gli adulti sono tutti impegnati ad accogliere i genitori dei bambini in una giornata di festa che impone la realizzazione di uno spettacolo demenziale fatto di bizzarri costumi a forma di frutta. In questo mondo di gioia castrata, Inochkin più volte viaggia con la fantasia, anch’essa costretta nei binari di un’inaccettabile frustrazione, dalla sequenza delle statue-arcieri che cercano di infilzarlo con le frecce fino alla splendida e indimenticabile sequenza del sogno del funerale della nonna, con un corteo a comporre un punto di domanda che si riferisce evidentemente alla domanda che la coscienza di Inochkin gli pone continuamente: “vuoi far morire tua nonna?”.

 

E mentre Klimov elabora queste sequenze oniriche con inquadrature e carrellate degne del miglior Fellini, tutte rigorosamente ad altezza bambino ma senza quel tono zuccheroso che il cinema dell’infanzia ha assunto in tempi moderni, anche le sequenze “reali” si gonfiano di trovate visive e narrative irresistibili, grondanti di citazioni dal cinema muto, da Chaplin a Keaton soprattutto. Dalla dottoressa che urla in sincrono al suono della campanella al bambino “spione”, giusto prototipo di adulto bamboccione (avrà la fine che gli spetta), Benvenuti ovvero vietato l’ingresso agli estranei esplode in tutta la sua verve incandescente alternando momenti graffianti a momenti di sottilissima tenerezza (la sequenza del cinema, con i soldati che coprono la proiezione di una scena d’amore riproducendola su uno schermo più piccolo, e dunque privando i bambini della vista della stessa, vale in appena cinque minuti mille volte più di Nuovo Cinema Paradiso). Un film dunque che più che “di intrattenimento” “riflette sull’intrattenimento” (il cinema proiettato nella sequenza suddetta è un film di cappa e spada), e ne rivendica autonomia rispetto alle norme, alle convenzioni e ai limiti imposti dall’alto. Un film anarchico e limpido, immediato e irriverente, che rivendica un posto importante nella storia del cinema sovietico.

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