Regia di D.J. Caruso vedi scheda film
Niente di nuovo sul fronte hollywoodiano, che è poi quello più biecamente occidentale. Il film di D.J. Caruso, va detto, funziona. L’ingranaggio è oliato, e sebbene la trama e i contenuti riprendono, attualizzandoli, quelli dell’archetipo hitchcockiano, nulla aggiungono in termini di riflessione cinematogratica come metatestuale. Il campionario di gadget tecnologici con cui i tre protagonisti tentano a più riprese di incastrare il loro vicino di casa, sospettato di essere un serial killer, fa solo da contorno e non da catalizzatore, e nemmeno termine ultimo di paragone, delle vicende umane. “Disturbia” è l’ennesimo “Davide e Golia” del cinema, e conferma sia il canone biblico, dove vince Davide, sia la statura cinematografica di “Giant” Morse, uno dei volti più interessanti dei caratteristi americani. La sfida oppositiva giovane/vecchio-figlio/genitore, quindi anche una sfida generazionale, è sempre affascinante, ma Caruso non approfondisce nulla, lascia che tutto scorra sotto l’occhio vigile di Steven Spielberg. Che fine ha fatto Alfred Hitchcock? Il regista, spero inconsapevolmente, opera una castrazione borghese tipica americana mascherandola da prurito voyueristico. Non solo questo è l’ennesimo affronto e offesa ad un pubblico più intelligente e più libero di quello che i tooner e i produttori di tutto il mondo credono (Spielberg è il repubblicano di sinistra, of course), ma è anche una gran bella occasione mancata. Infatti i tre protagonisti, Shia LeBeouf, Sarah Roemer e Aaron Yoo, sono elementi di un’alchimia perfetta. Tra loro sanno usare gli spazi e il loro corpo. Un trio affiatato che è uno dei pochi motivi per cui vale la pena vedere “Disturbia”. L’altro motivo è Shia LeBeouf. L’attore, ahimè nuovo pupillo feticcio di Steven Spielberg, è davvero bravo, va riconosciuto. Ha una presenza scenica straordinaria. Davvero un piccolo Harrison Ford, da sempre uomo qualunque, che per traslazione diventa il ragazzo qualunque per antonomasia. Shia sa occupare la scena, e riempirla con le idee che solo un grande attore può avere. É diretto, incisivo, sa dove e come muoversi. Infatti le parti più belle del film sono quelle che non riguardano la trama “thriller”, ma bensì tutto il mondo casalingo del protagonista. A parte patetismi “politically correst” spielberghiani come tutta la scena-dialogo con il padre o come la confessione di Shia sulla veranda con la ragazza, si sorride, si ride, e si partecipa alla sua sventura del perfetto antagonista sociale. Credo che Shia non ci becchi nulla con Spielberg, ma sarà il tempo a darmi torto o ragione. Ma se il film ci svela un attore interessante, ci ripropone anche altri due attori i cui volti sono cult da parecchio tempo. Carrie Ann-Moss arriva da “Matrix” e ha uno stuolo di esagitati fans, tra cui lo stesso Shia, e poi c’è lui, “Giant” Morse, presenza inquietante, ma anche bonacciona, di molti film. David Morse ha il pregio di essere un attore che sa sfoderare malvagità ancestrale come bontà paterna, un mix ambiguo che fa la felicità degli autori che non vogliono dividere il mondo manicheamente, alla stregua dei politicanti conservatori di oggi. Peccato quindi che Caruso non sappia giocare con questo parco attori notevolissimo. “Disturbia” poteva essere molto di più, invece è il tipico prodotto di “piacere” americano, che nulla dà e nulla toglie.
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