Regia di Michael Mayer vedi scheda film
E' quasi una celebrazione dello stile di vita degli allevatori americani, rimasti cowboys nell'essenza come lo erano i primi pionieri del West. A parte questo aspetto, per cui potrebbe anche risultare apprezzabile, le uniche armi di cui questa pellicola si serve per far breccia nello spettatore sono l'amore per la natura (ed i cavalli in particolare) ed il sentimento di libertà ispirato dai cavalli selvaggi.
La protagonista - testarda più di un mulo e ribelle più della cavalla selvaggia per cui ha perso la testa ed a cui ha dato, chissà perché, un nome svedese - è una brutta grana per il padre. Ma per far tornare l'armonia in famiglia intervengono due fatti ridicoli ed assurdi troppo evidenti perché si possa chiudere un occhio.
Il primo è la guarigione rapidissima e quasi miracolosa - senza neanche l'intervento del veterinario - del cavallo apparentemente morente dopo l'assalto di un puma (che per chissà quale motivo aveva invece evitato di aggredire la protagonista umana che era a terra indifesa). Il secondo è il fatto che il padre riesce a far riammettere la figlia a scuola inviando via internet un tema di lei al suo professore.
Insomma, tanta bella natura e begli animali, ma anche tante belle incongruenze e assurdità.
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