Regia di David Yates vedi scheda film
È più magro, non tanto piÙ alto di quando era bambino, con la mascella squadrata e un'espressione perplessa negli occhi: Harry Potter adolescente percepisce per la prima volta il peso della diversità e dell'emarginazione, non solo tra i "babbani" (in particolare nella famiglia borghesissima e stolida degli zii) ma anche nella congrega dei maghi. Dopo il suo ultimo scontro con Voldemort c'è diffidenza intorno a lui, qualcuno ha messo in giro la voce che è un bugiardo, il Ministro della Magia gli è nemico. Comincia così, con minacce concrete e tangibili e con la sensazione che ci sia una congiura in atto contro Harry e soprattutto contro la libertà e l'incorruttibilità della scuola di Hogwarts, il quinto episodio della serie, Harry Potter e l'Ordine della Fenice, una storia di transizione che accompagna Harry e gli altri ragazzi verso una nuova maturità, verso la consapevolezza di doversi schierare e arrangiare da soli, verso l'intima padronanza della magia che è in loro. Una storia nella quale non succede molto, alla fine della quale si rimandano ancora rivelazioni e scontri definitivi, ma importante come "rito di passaggio". Per la prima volta, niente quidditch, niente risse tra allievi "buoni" e "cattivi", ma il confronto con la durezza del potere burocratico e inquisitivo; e, se si vuole volare, si vola in groppa a esili creature inquietanti, i Thestral, incroci scheletriti tra cavalli e draghi che possono essere visti solo da chi ha guardato in faccia la morte. Più cupo di altri film della serie, L'Ordine della Fenice ha i suoi punti forti nei ripetuti scontri di magia del finale (Sirius Black contro alcuni evasi di Azkaban, tra i quali una scatenata Helena Bonham Carter, e Silente contro Voldemort), nel fantasmagorico crollo di un archivio ricolmo di sfere di cristallo e soprattutto nella nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, Dolores Umbridge, inviata dal Ministero a fare ordine a Hogwarts, una sorridente, infida massaia in tailleur rosa, di epica ed esplicita perfidia thatcheriana (perfetta Imelda Staunton, la Vera Drake di Mike Leigh). E poi, come sempre, la ricchezza degli sfondi, i giornali che si sfogliano e si raccontano da soli, i quadri alle pareti che si animano (fantastica la collezione di gatti schizzinosi della nuova professoressa), le pareti che si aprono e si richiudono su stanze segrete, la capacità di mescolare la fantasia magica con la concretezza di ambienti e volti riconoscibili.
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