Regia di Tony Bill vedi scheda film
Credevo che fosse il solito polpettone eroico-militare, invece "Flyboys" è il risultato di una sottrazione di vari termini. Un po' di retorica c'è, ma non si vede e non pesa. La guerra e l'eroismo in guerra ne escono un po' malridotte. James Franco, attore dalle idee chiare, non avrebbe scelto un film promilitare nemmeno per questioni alimentari, come potrebbe aver fatto in "The Great Raid". Anche il suo coetaneo Josh Hartnett ha le idee chiare e la sua partecipazione a "Pearl Harbor" è stata annullata da uno dei recenti capolavori di Ridley Scott, quel "Black Hawk Down" che ripensa all'intervento bellico. Qui, in "Flyboys", il cowboy Franco, che innesta l'immaginario western con quello del war-movie europeo (dalle corse a cavallo alla resa dei conti finale), è un'anima inquieta che come i suoi commilitoni cerca forse, inconsapevolmente, l'autodistruzione. Attore di metodo, Franco per molta critica resterà l'eterna promessa che non decolla. Ma io mi chiedo: un grande attore deve fare solo film main stream? James lo è, e infatti fa i film che vuole, inventandosi anche come regista indies, e partecipando a progetti "off". Il suo background arriva quindi in un film di guerra come un valore aggiunto, di segno contrario. Dapprima c'è l'amicizia e l'amore e poi il bombardamento. Certo, un film di guerra che condanna senza appelli la guerra stessa, lo devono ancora inventare. Solo Clint Eastwood c'è arrivato vicino. Credo che ad oggi esista solo un romanzo, "Una Nobile Follia", dello scapigliato Igino Ugo Tarchetti a condannare senza salvataggi in extremis l'assurdità e la follia della guerra. Di solito si tende infatti a condannare la guerra ma salvando qualcosa, come l'eroismo, lo stoicismo, l'integrità morale, la giusta causa. Invece, come il "Bat 21" di Gene Hackman, davanti all'orrore si può soltando affliggersi esistenzialmente. Il film di Tony Bill non affonda la discussione in questo senso, perchè vuole giusto fare un'operazione nostalgica, sul ricordo di Howard Hughes, i cavalieri dell'aria, le giovani aquile del titolo italiano: insomma un immaginario emozionale vecchio tipo, capace di piacere anche solo in funzione narrativa. E poi c'è lui, James Franco, che di James Dean ha il corpo, lo sguardo e le pose (dopotutto l'ha pure interpretato in un film di successo per la tv americana). Il suo modo di reagire, le sue pose, la sua mimica, sono i segni esteriori del lavoro interiore dell'attore. Forse gigioneggia, forse esaspera un segno, ma vale molto di più di molti colleghi giovani e blasonati, più pagati ed immeritevoli del successo che godono. Franco, come Hartnett, Kutcher e Grace, sono la meglio gioventù del cinema americano, e nessuno se ne accorge.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta