Regia di Valeska Grisebach vedi scheda film
Lui, lei, l’altra. Tutto già visto e sentito si dirà, ma per una volta non è così. Non lo è pur in presenza del più classico dei triangoli e del più prevedibile degli unapphy end (che non manca, che non può mancare…). Non lo è perché l’ex documentarista Valeska Grisebach sa come fare del suo Desiderio un’opera spiazzante, infilando tra le pieghe del racconto svolte, rimandi, ritorni, derive inaspettate, e una chiosa finale che forse non aggiunge nulla e forse aggiunge tutto a quanto abbiamo visto. Prima cuce con abilità il quieto vivere di una giovane coppia, quella composta da Markus ed Ella, sposi perfetti e in quanto tali esposti alle bizze del destino, poi scuce l’ordito con l’improvvisa irruzione dell’altra, colpa di un momentaneo allontanamento di Markus dal microcosmo famigliare, senza inventarsi nulla di trascendentale eppure con una consapevolezza dei fini esemplare. Da quel momento in avanti due grumi incandescenti e incompatibili occupano la scena: la passione della vita A, quella coniugale, da un lato, quella della vita B, quella extra, dall’altro, elementi spuri e configgenti affidati a tre attori non professionisti calati dentro ambienti di un realismo tale da renderli quasi innaturali, sensazione resa ancor più lancinante per l’uso a contraltare di due hit dance che cancellano gli ultimi dubbi sulla riuscita dell’opera: prima Feel di Robbie Williams, sulle cui note Markus ubriaco si abbandona ad un ballo solitario, poi Crying at the discoteque degli Alcazar, dove stavolta a ballare insieme a Markus c’è Ella. Destino (ma “sehnsucht” è traducibile come “anelito”) è il senso di colpa che ingolfa l’anima di Markus, è la spinta centrifuga che lo allontana da Ella di una distanza incolmabile. È bello vedere la Grisebach non adagiarsi sulla narrazione lineare e ricorrere ampiamente all’ellisse che le consente di sorvolare sul momento clou, quello del tradimento di Markus lasciando intatta la comprensione di quanto avvenuto. Ma a dispetto della non linearità del racconto ciò che rimane è realmente ciò che conta davvero: una raffica di immagini, una scarica di emozioni, un corollario di eventi ora semplici, ora tragici, mai, nemmeno un istante, sotto il livello di guardia. Poi, nel finale, la Grisebach piazza una chiosa straordinariamente a prova di ridicolo affidandola ad un gruppo di ragazzini, chiosa che strappa la storia dalla realtà dei fatti per consegnarla al racconto orale dove è risaputo le vicende diventano leggenda, quella di un uomo che prima salva una vita, poi parte per un viaggio e nel viaggio si perde. Forse, dopo essersi perduto, riesce a ritrovare la strada verso casa, forse no… Destino è uno di quei film che ogni tanto sbucano fuori, uno di quei film che “mostra quanto melodramma c’è nella vita e quanta vita c’è nel melodramma”.
In concorso al 56mo Festival di Berlino.
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