Regia di Lucía Puenzo vedi scheda film
L'esordio al cinema dell'argentina L. Puenzo affronta il tema, raro e scomodissimo come pochi, della sindrome di Klinefelter, il patrimonio genetico XXY (quali siano le eventuali inesattezze nel film, meglio chiederle direttamente ad un medico...). Pur avendo qualche punto debole in alcuni personaggi non approfonditi abbastanza ma che comunque svolgono una funzione di contrasto e di tramite affinché avvenga una svolta nella vita di Alex (I. Efron), XXY offre uno spaccato di vita terribilmente problematico in un periodo cruciale del corpo e della psiche umana, una storia tanto relegata nella propria specificità quanto universale se filtrata dal punto di vista della "semplice" e assoluta diversità, che alla fine risulta essere la visione che ognuno ha di se stesso perché condizionata e imbastardita dal metro di giudizio degli altri corpi estranei, quelli della società che ci circonda, che non si vuole accusare in toto di essere sempre nel torto, ma tuttavia in certe questioni anomale e delicate impone, direttamente o per mezzo della subdola discriminazione, la propria concezione ignorante e desiderosa di sradicare lo scandalo, ciò che è d'intralcio e di difficile comprensione.
Il cuore quindi del film della Puenzo, che dirige con stile e sguardo giustamente essenziali, delicati e rispettosi, è l'approccio conoscitivo che si instaura tra due coetanei vergini (o quasi) nel corpo ma prima di tutto dai preconcetti, due persone che si incontrano e "legano" per quello che sono, vite che vorrebbero trovare la loro dignità ma che sono appunto ostacolati a loro volta dai meccanismi degli adulti o delle persone curiose o giudicanti. I genitori di Alex almeno, però, hanno capito in tempo che la scelta deve essere della figlia/o, perché anche loro usciti in gioventù da situazioni difficili e all'ombra della paura di quello che gli altri avrebbero potuto pensare. Situazione ancora troppo gravosa per Alex, ancora troppo giovane, ma il tempo porterà consiglio, come soprattutto la natura interiore, quella che pur dipendendo dal corpo, avrà sempre la meglio su di esso e imporrà la propria identità.
Ammiro il critico Pier Maria Bocchi, ma francamente non capisco cosa trovi di così repellente in questo film, non stratosferico, ma sicuramente più che dignitoso, ben fatto e anche piacevole senza cadute di tono e senza falsa retorica inopportuna. 7 1/2
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