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XXY

Regia di Lucía Puenzo vedi scheda film

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La recensione su XXY

di pazuzu
6 stelle

Alex è ermafrodita: nata con gli organi riproduttivi di entrambi i sessi, vive da sempre in uno stato di costante indecisione e frustrazione, che esplodono in eccessi di rabbia e violenza sempre più frequenti ora che (a 15 anni) i primi turbamenti cozzano con le contraddizioni di un corpo incompreso; e al patimento suo si somma quello dei genitori, letteralmente (s)travolti dall'onere di questa figlia da proteggere e difendere dal mondo, alla quale (nonostante i medici consigliassero di operarla appena nata) hanno inteso riservare il diritto esclusivo di decidere quando e quale parte di sé conservare e sviluppare, e a quale rinunciare: prendersi tutto il tempo, insomma, per capire quale sia la sua dimensione. L'opportunità del grande passo le si prospetta nel momento in cui la madre decide di ospitare un noto chirurgo plastico (interessato ad Alex da punto di vista medico e pronto a farla diventare donna a tutti gli effetti), che giunge in Uruguay dall'Argentina (loro terra madre, da cui sono fuggiti per sottrarla alle chiacchiere della gente comune) con al seguito la moglie ed il figlio sedicenne Álvaro, ragazzo a sua volta taciturno e insicuro per via dei genitori stessi, assenti, che da tempo hanno smesso di interessarsi a lui, tanto da non premurarsi nemmeno di dirgli due parole sulla ragione della loro visita. L'approccio con il carattere scontroso aggressivo e apparentemente disinibito di Alex sarà per lui devastante, nascerà tra i due un'attrazione inattesa e sconvolgente che porterà Álvaro ad indagare sulla propria vera natura ed Alex a guardare dentro di sé per cercare le basi su cui costruirsi un futuro, se adeguarsi (in attesa di giudizio) ad una società omologata pronta a condannare chi non rientra nei canoni, oppure accettare la propria diversità cercando in essa la forza per ripartire.
Ambizioso tentativo di trasporre in immagini lo strazio, i patimenti, le umiliazioni e la condanna di un ermafrodita, XXY convince ma con qualche riserva, risultando complessivamente buono ma meno genuinamente disperato di quanto vorrebbe apparire: la storia è semplice e piuttosto lineare ma in grado di arrivare alla testa e al cuore, la sceneggiatura discreta nonostante tenda ad appesantirsi un po' nella parte finale, mentre il pregio maggiore del film sta nelle caratterizzazioni dei due giovani protagonisti, la cui eccitazione, la vergogna e la paura sono rese con estrema naturalezza dalla prova fisica e nervosa di Inés Efron e da quella trattenuta e sofferente di Martín Piroyansky. Naturalezza che talvolta invece manca alla regista (l'esordiente figlia d'arte Lucía Puenzo), tanto attenta e rispettosa nel tratteggiare le psicologie dei personaggi, quanto forzatamente scolastica per alcune scorciatoie che alimentano il sospetto di un certo incontrollato moralismo di fondo, laddove opta per il sistematico e politicamente corretto occultamento dell'oggetto dello scandalo (presa di distanza più che ricerca di leggerezza) mostrando altresì pesci rossi anguille carote e salumi in una processione di simbolismi scontati, fuori luogo e soprattutto dannosi nell'economia di una pellicola dalla quale restano fatalmente sganciati. Il discorso sulla diversità e sull'impossibilità della scelta appare di conseguenza, seppur forte, mitigato ed attutito da una regia sensibile ma poco misurata, talvolta timorosa e troppo attenta a non oltrepassare i limiti, talatra inutilmente e gratuitamente maliziosa, che alterna buoni momenti (la scena in cui Alex ed Álvaro ascoltano musica in strada; il dialogo finale tra Álvaro e il padre) a cadute evitabili (l'incontro in cucina tra Alex e il chirurgo mentre questi affetta una fallica lonza). Errori di gioventù, probabilmente: poteva essere un'opera molto importante, resta un film interessante ma imperfetto cui va riconosciuto il merito di aver trattato, non senza inciampi, un tema scottante e dimenticato come l'ermafroditismo.

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