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L'istruttoria è chiusa: dimentichi

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

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La recensione su L'istruttoria è chiusa: dimentichi

di lamettrie
10 stelle

Un capolavoro. E uno dei film più istruttivi, non solo a livello italiano ma a livello mondiale, credo, per capire la critica anarchica che nel ’68 venne portata contro ogni forma di potere. Nella nostra cinematografia, su questo aspetto io credo che non sfiguri, al confronto, solo “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Petri.

Non si capisce perché Damiani sia talmente sottovalutato. Per me è uno dei maggior cineasti italiani di sempre, al netto delle cadute commerciali che molti hanno avuto, per quello ha fatto dopo il ’68 appunto, negli anni ’70. Questa pellicola si libra alla pari con altre perle di eccelso valore come “Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica”, contro la mafia, e “Io ho paura”, ancora centrato sulla onnipervasività di un sistema di potere tanto collaudato quanto iniquo e disumanizzante, esattamente come in questo film. Non si possono certo dimenticare (almeno per il mio gusto) “Il giorno della civetta”, anch‘esso contro la mafia, o “Girolimoni”, contro il fascismo.

Il film è girato benissimo, senza pause, con la tensione gestita come meglio non si potrebbe. Gli attori, tra cui spicca Cucciolla, recitano alla perfezione , anche i comprimari. La fotografia è perfetta, la musica di Morricone anche.

Il messaggio è chiaro: il potere costringe tutti a recitare una parte disgustosa. O la si recita, e si fa il male della società e anche, in parte di sé stessi, dato che così non si può che sopravvivere male, strapieni di turbamenti; o non la si recita e, come accade a Cucciolla, ciò è peggio ancora, perché non si sopravvive nemmeno più.

Il “sistema” non è un mostro impersonale, né un’entità metafisica: è un entità materiale collettiva, in cui tutti implicitamente, ma chiaramente, capiscono in fretta ciò che di male devono fare per evitare di morire. Sotto il profilo morale questo potere è osceno: fai il bene e muori; fai il male, e sopravvivi, anche se vivi male. Tertium non datur.

Nel film, gli eroi muoiono. Coloro che si beavano di buone intenzioni si adeguano al peggio e si rimangiano tutto. A tutti i livelli conviene delinquere, insomma: una lezione inaccettabile che però tanti italiani hanno imparato bene, purtroppo. Ma il film ha anche questo pregio: di mostrare che, se esiste un “sistema” così marcio, non è certo per un caso; non è certo per una necessità insondabile; ma è solo perché la classe dirigente vuole che sia così, perché è ciò che ad essa conviene di più. E la classe dirigente ha sempre voluto che sia stato così, con rarissime eccezioni, sempre penalizzate tragicamente . Chi ci guadagna dal prosperare grazie all’illegalità, è la classe dirigenti di certi ricchi: l’architetto e l’inquirente stanno sulla stessa barca. L’impunità deve prevalere, per volere di pochi ricchi criminali; poi, di conseguenza, ne beneficiano i molti poveri criminali, anche se in misura molto minore rispetto ai ricchi criminali. In questo messaggio Damiani condensa una lunga scuola di pensiero, che passa attraverso Rousseau e Marx tra gli altri. Se tale lettura sia campata per aria, deciderlo spetta solo allo spettatore competente.

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