Regia di Stefano Incerti vedi scheda film
Questo film, che resterà a lungo impresso nella mia memoria, è la storia di un uomo tormentato, un uomo pieno di dubbi, che pagò con la vita le sue incertezze e la sua inadeguatezza (ma prima ancora pagò con il carcere e 11 anni di manicomio criminale). Sto parlando di Leonardo Vitale, che le cronache descrivono come "il primo pentito di mafia". Il periodo in cui si svolge la vicenda va dal 1972 al 1984. Un'epoca in cui -è opportuno sottolinearlo- ancora non erano previsti per chi "collaborava" nè benefici di legge nè programmi di
protezione. Va detto, prima di entrare nel merito della triste vicenda, che il film è quasi un monumento a quel David Coco che per questa magistrale (intensissima) prova d'attore meriterebbe davvero piu' di un premio. Coco si rivela attore straordinario, capace di contenere la propria espressività ma anche -quando necessario- di esaltarla ai massimi livelli. Difficile dimenticare quei due suoi grandi occhi. Leonardo Vitale supera l'adolescenza e diviene adulto "dentro" la mafia, ma senza traumi, quasi senza rendersene conto, "iniziato" dallo zio (un Tony Sperandeo straordinario anche lui), che gli trasmette lo "spirito mafioso" dunque sotto forma di "educazione famigliare". Anche se poi la cosa piu' triste è che nè la madre nè la sorella di Leonardo riescono ad esserne consapevoli; per loro anzi la mafia nemmeno esiste. E questa mancanza di consapevolezza è tremenda, perchè quando vedono il loro figlio (e fratello) andare verso la deriva della follìa, neanche concepiscono cosa ci sia alla base di quel malessere, e dunque non hanno gli strumenti per poterlo aiutare. Quest'ultimo aspetto è molto grave, perchè ci restituisce della mafia un concetto poco considerato, cioè come di un "sistema" talmente radicato da assumere i contorni della "normalità", come infatti è NORMALE la famiglia Vitale, nonostante abbia per capofamiglia un mafioso acclarato. Vedendo questo film ci si appassiona alle vicende dello sfortunato Leonardo, quasi si soffre per lui, almeno io personalmente ho percepito un senso di impotenza nel non poterlo aiutare, quando viene lasciato solo di fronte ad una realtà infame. L'ottima sceneggiatura è opera del regista Stefano Incerti e di Heidrun Schleef
(già collaboratrice di Nanni Moretti e Mimmo Calopresti). Visto che si sta parlando di mafia, vorrei dire a chi vedrà il film di scordarsi gli sceneggiati tv, con commissari e piovre, che qui di televisivo (per fortuna) non c'è proprio niente. Dal 1984 (anno in cui Leonardo fu giustiziato dalla solita mano anonima)
in Sicilia (e nella lotta alla mafia) qualcosa sarà sicuramente cambiato: a parte che questa lotta è stata comunque molto dolorosa (nei titoli di coda si puo' leggere una frase di Giovanni Falcone a proposito del "nostro" Leonardo) purtroppo si ha l'amara impressione che la mafia sia ancora assai radicata nella mentalità popolare dei siciliani. Qualcuno tirerà sicuramente in ballo Peppino Impastato e i suoi Cento Passi: lo scenario, sì, è quello ma la personalità di Leonardo è molto diversa, molto piu' complessa ed indecifrabile, a tratti oscura
e a tratti perfino mistica, e comunque Leonardo non appare mai come un "santino" nè tantomeno un martire. Tenerissima la figura della fidanzata, che non smette mai di amarlo ma, anche lei, a mio avviso, non riesce a capire il dramma della grande PAURA che attanaglia Leonardo e la fonte di quel malessere. Lasciamo perdere poi quella schiera di inetti che sono i medici e gli psichiatri che si susseguono nelle "cure" di Leonardo. Ed infine una doverosa segnalazione per quel grande attore siciliano che è Ninni Bruschetta, qui nelle vesti del commissario che raccoglie le confessioni di Leonardo.
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