Regia di Giuseppe Ferrara vedi scheda film
L'aspetto migliore è quello che spesso a Ferrara è stato rimproverato, cioè il didascalismo, che quanto meno permette di capire perché gli operai comunisti fossero in massa contrari alle rivendicazioni (e alla violenza) delle Brigate Rosse, quale fosse la posta in gioco nelle fabbriche, particolarmente del nord Italia, e, infine, per quali ragioni e in quali condizioni di solitudine (come ricordò Luciano Lama ai funerali, fatto sentire nel finale) Guido Rossa fu ammazzato dai terroristi. Però, sul piano della pura messinscena, ci sono aspetti che non convincono, a cominciare dal risibile trucco con il quale il pur bravo Massimo Ghini viene messo nei panni dell'eroico operaio genovese (un contraltare proletario all'eroe borghese Giorgio Ambrosoli, ucciso appena sei mesi dopo, in quell'infame 1979), la descrizione oleografica (come dice Mereghetti) della famiglia Rossa e la cattiva recitazione di Anna Galiena (la moglie). Il migliore, secondo me, è, come spesso è accaduto nei film degli ultimi anni, Gianmarco Tognazzi, assai migliorato per mimetismo fisico e sfumature recitative: non un mattatore come l'inarrivabile padre, ma un solidissimo professionista sul quale il cinema italiano può contare. Diciamo che, comunque, il film di Ferrara, le tre stelline della sufficienza se le può meritare.
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