Regia di Brian Yuzna vedi scheda film
Un film poco chiaro, con una storia che appare via di mezzo tra sogno e realtà e che si perde dietro recitazioni dilettantesche, in linea con una sceneggiatura trascurata. A mantenere alto il livello di attenzione ci pensa una regia dinamica e pregiata, forse sprecata per operazioni di questo tenore.
Spagna. In un campo di detenzione riservato agli immigrati, il feroce direttore Kufard (Paul Naschy), dopo aver catturato una coppia in fuga, abusa della ragazza (Irene Montalà) e scatena un feroce rottweiler contro Dante (William Miller). In cerca della salvezza, Dante mette a repentaglio la vita delle persone che incontra, in quanto sempre inseguito dal feroce mastino che si rivela essere indistruttibile in quanto ibrido, ovvero composto da elementi meccanici.
La Fantastic Factory del produttore spagnolo Julio Fernandez, a cavallo del nuovo millennio -e per un lungo periodo- sembrava deputata a rilanciare il cinema horror spagnolo; cinema molto prolifico (e oggi riscoperto) nei primi Anni '70, con una serie di pellicole -tra l'altro- realizzate in compartecipazione anche con l'Italia.
E proprio da quel periodo arriva Paul Naschy, alias di Jacinto Molina, qui in una breve ma riuscita partecipazione, in ruolo di sadico e perverso aguzzino. Purtroppo, come buona parte delle produzioni di Fernandez, il budget non permette di realizzare scene particolarmente spettacolari, anche se si intravede un elicottero e, per buona parte, fanno la loro comparsa sequenze splatter. Sequenze splatter che, ahinoi, denotano un'approssimazione eccessiva dovuta ad una poco efficace commistione tra CGI e animatronica. Per fortuna in regia sta appostato l'abile Brian Yuzna, unico vero mattatore in opera, ossia in grado di rendere -perlomeno- vedibile il film. Perché di fronte ad una storia che non funziona affatto (perché violenza ai clandestini? Perché un cane robot? Qual è il ruolo della coppia americana infiltrata con gli immigrati?) restano solo i virtuosismi di una regia dinamica e spericolata che tenta -riuscendo solo in parte- con soggettive raso terra del rottweiler e con circonvoluzioni della M.d.P. di dare un senso ad una sceneggiatura incompleta e piena di vuoti narrativi. Di modico interesse appare il trucco di procedere nella narrazione in stile Tarantino, ovvero avanti e indietro nel disvelamento dei fatti, mentre il gioco delle citazioni (con Terminator e Dogs su tutti gli altri) finisce presto la sua funzione. Vale inoltre la pena notare come l'abuso di computer grafica -dovuto al prototipo e pluriacclamato Jurassic Park (2001)- con il passare del tempo faccia invecchiare, precocemente, i film che hanno puntato sulla tecnologia di animazione digitale. Persino lavori di pochi anni fa', oggi, appaiono palesemente artificiali proprio a causa dell'effetto stile "cartoons" tipico della CGI da videogames. In conclusione, questo Rottweiler è un film giustamente archiviato, ma riservato ai fans del regista, che abbiano la voglia di vederlo per comprendere meglio quanto sia significativa l'esperienza -e quindi la padronanza del mezzo cinematografico- dietro la macchina da presa.
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