Regia di Aldo Lado vedi scheda film
Il titolo, va da sè, considerato periodo dell'uscita e genere, benchè sia abbastanza posticcio, fa parte del vasto arsenale dei primi anni Settanta nel giallo, con appunto film intitolati in modo particolare per attirare più pubblico possibile e relazionarsi al tanto in voga cinema argentiano. Ambientato in una Praga mesta, abbastanza poco credibilmente, perchè nel 1972 un giornalista americano che si muoveva con scioltezza nell'Europa dell'Est era piuttosto opinabile, ha uno spunto interessante, che rimanda a Edgar Allan Poe: infatti, il protagonista è un reporter che viene ritrovato in un parco e portato all'obitorio, ma in realtà, benchè non possa nè muoversi e nè parlare, e sia in una sorta di morte apparente, è perfettamente lucido e cerca sia di ricostruire quel che gli è successo, e come poter comunicare agli altri che è ancora vivo. Aldo Lado, che più tardi girerà anche "Il gatto dagli occhi di giada", è stato uno dei registi della serie B italiana più propensi a inserire connotazioni politiche, mescolandole a delitti e indagini: infatti, più che un thriller dalle screziature orrorifiche, è più un giallo con rivelazione conclusiva su un piano segreto. Non incalzante, e piuttosto traballante nella credibilità, in alcuni passaggi, buchi di sceneggiatura ( non ci verrà mai specificato esattamente come il protagonista sia stato conciato così) non è comunque uno dei peggiori titoli del filone: degli attori principali, Jean Sorel si impegna, Barbara Bach era già uno splendore, anche se compare in non moltissime scene, a Ingrid Thulin viene concesso meno spazio di quanto l'attrice avrebbe meritato, e quello più in palla sembra il collega scafato del giornalista, Mario Adorf.
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