Regia di Joe D'Amato vedi scheda film
Aristide Massaccesi, in arte Joe D'Amato, regista-macellaio munito di accetta, più che di macchina da presa, si è diviso per tre decenni, dai '70 ai '90, tra horror e soft-hard-core (lo stesso film che circolava in due versioni, una nelle sale normali, l'altra nei circuiti porno), sfornando anche 5-6 film all'anno, tutti a zero budget, quasi tutti destinati più ancora al mercato internazionale che a quello interno.
Economicamente i suoi risultati sono nel complesso eclatanti, tenuto conto degli irrisori costi di produzione. Il risultato è, in linea di massima, a dir poco sconcertante sia a livello di sceneggiatura, pedestre e davvero solo abbozzata o scopiazzata da classici, specie in caso di horror, sia a livello tecnico grazie a riprese da “buona la prima” e una fotografia “nature” che trasuda l'improvvisazione più scellerata e disinvolta.
Non fa eccezione questo torvo e sadico Buio Omega, assurdo sia dall'incomprensibile titolo: una storia di morte ed imbalsamazione, cannibalismo con accenni ad esoterismi poi abbandonati disinvoltamente per la strada, nonché forte di bellissime fanciulle morte prematuramente e rese eterne dalla follia del giovane protagonista, orfano di buona famiglia, soggiogato dalle grinfie di una governante che si delinea in un coctail tra “mamma di Norman Bates” e la governante gelida e gelosa dell'hitchcockiano “Rebecca la prima moglie”.
Per non parlare degli accenni, profani come i due precedenti, alla gemella della defunta che profanano ulteriormente il gran regista inglese de “La donna che visse due volte”.
Sciatteria dilagante, interpreti sconcertanti, vicenda che si snoda in modo azzardato, incurante di ogni decenza narrativa. Un devasto? Certamente, ma qualche scena, qualche inquadratura, qualche situazione, non si sa se volontariamente o per caso, complici anche le musiche appropriate dei Goblin, alla fine riesce anche a convincere e a funzionare, soprattutto quanto risulta incentrata sulla figura inquietante della governante sadica e avida di eredità.
Uno scult insomma, in quei fine anni '70 che divengono l'apice di produzioni dal budget risibile (spesso in linea con il risultato artistico finale) ma di ambizione internazionale, in grado tuttavia di assicurarsi un vasto ed irriducibile numer di fans ed appassionati, anche tra coloro che poi diventeranno i fautori di una nuova era e concezione cinematografica, se non veri e propri maestri di cinema (Tarantino docet).
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