Regia di Don Siegel vedi scheda film
Il ritmo. Il taglio. I caratteri. La colonna sonora. Il cattivo assassino. E lui, Callahan/Eastwood. Ecco gli ingredienti studiatissimi con i quali Don Siegel ha saputo descrivere la rabbia e la ribellione dell'uomo di oggi, tratteggiando personaggi e situazioni nel difficile quadro dell'ambiguità. Le pulsioni nascoste che scalpitano tra i fotogrammi, sono quelle di un America che mente a se stessa già nel 1971. Accusati entrambi di fascismo, regista e attore, hanno dimostrato con gli anni e con i loro film, che l'ignoranza delle etichette è il primo passo verso l'incomprensione. Loro non avevano fatto altro che ribellarsi a ciò che non funzionava. Solo che l'hanno fatto senza consultare gli intellettuali prevenuti. Il risultato è uno dei western urbani, ovvero un poliziesco, tra i più conosciuti, tra i più imitati, tra i più iconici della storia del cinema, ma anche dell'immaginario tutto. "Dirty Harry", ovvero "Ispettore Callahan: il Caso Scorpio è Tuo", bellissimo adattamento italiano secondo una pratica titolistica tutta nostra che andava molto di voga a quell'epoca, è un film che manifesta tutta la modernità esistenzialista del cinema che incontra la "metropoli", intesa questa come l'ultima architettura umana, l'ultima frontiera verticale dell'uomo nello spazio della società. Uscito a un tiro di sputo da un'altra pellicola-icona del poliziesco anni '70, "The French Connection", ovvero "Il Braccio Violento Della Legge" (altro gioiello della nostra titolistica), ma successivo ai poliziotti cattivi del nostro cinema italiano, il film diretto da Don Siegel non può non fare il paio con quello di William Friedkin. I due film con Hackman e Eastwood si mutuano a vicenda. Il primo, taglio documentaristico, prosaico, anti-spettacolare se si accettua il mitico inseguimento sotto la sopraelevata, è diretto all'implosione della rabbia inconscia di chi non capisce più da che parte va il mondo. Il secondo, straordinariamente narrativo, virtuoso nelle immagini e nelle inquadrature, espressionista e finanche gotico, pieno di azione e ritmo thrilling, si dirige invece verso l'esplosione dell'individuo. In entrambi i casi, sul banco degli imputati sale la società, l'umanità, la metropoli.
Il film di Don Siegel, amico e secondo maestro di Clint Eastwood (il primo resta Sergio Leone), è un film che all'epoca fu tacciato di fascismo. Certo, una bandiera della destra americana come Eastwood che impugna la pistola e spara su chi gli gira, non è un'immagine di distensione e di dialogo democratico, ma c'è un però: Don Siegel è sempre stato un regista dichiaratamente di sinistra, in più va detto che Eastwood, almeno dai '90 in su, è la coscienza critica di un'intero Paese, che a destra si radicalizza su posizioni neoconservatrici e che a sinistra non è capace di staccare definitivamente con le vecchie pratiche americane di vergognosa risonanza (armi, pena di morte, assistenza sanitaria, fanatismo militare, e così via). Insieme, regista e attore, creano l'alchimia cinematografica per raccontare una storia, un thriller poliziesco nella fattispecie, che si avvale di un'ambientazione moderna per eccellenza, la metropoli (distorta autorialmente da molte altre celebri pellicole, su tutte "1997: Fuga da New York" di John Carpenter), per deflagare la coscienza individuale e collettiva senza fronzoli o retoriche salva-apparenze. Guardando bene il film, ci accorgiamo che Callahan non è semplicemente il vigilante conservatore che si ribella alla decadenza della società con pratiche fasciste, prima, squallida e inutile lettura, ma è un ribelle senza causa vera e propria che resta intontito di fronte al Male che vede tutti i giorni e che lui stesso perpetra credendo sia il Bene. Un atto benefico, è malefico per qualcun altro. E il metro di misura con cui decidiamo cos'è Bene e cos'è Male è solo un metro arbitrario o impositivo. Vuoi i governi, vuoi le morali religiose, vuoi i conformismi borghesi, c'è sempre qualcuno che impone una regola ad un altro. Questo è ciò che effettivamente Callahan attacca. Attacca il sistema tutto. Attacca la gerarchia, attacca i ruoli e i giochi politici, attacca il fatalismo del "così è, così deve andare" tipico borghese, attacca le minoranze ma solo per inserirle in un contesto di incazzatura nichilista globale, lontana anni luce dal buonismo trasversale senza il quale oggi non si muove nessuno. L'individuo-Callahan si rivolta verso lo stato stagnante delle cose, non si rivolta verso i "diversi", verso gli "sbagliati", perché queste voci nel suo vocabolario non ci sono. Per Callahan non c'è il giusto e lo sbagliato codificato dalle morali, ma soltanto la Verità e la Menzogna riconoscibili solo dall'uomo puro, dall'uomo etico. Ma Callahan copre la sua tensione etica con la durezza e l'interventismo brutale del braccio armato, della violenza istituita e non attaccabile, perché proietta fuori da sé la rabbia che ha dentro, trasformandola in violenza pura, ma sotto cova un cuore ribelle che non è in grado di far emergere e primeggiare. Non a caso viene scambiato per un porco, un maniaco, e pestato da un gruppo di arzilli vigilantes attempati. Callahan neanche si difende, li lascia fare. Questa sovrapposizione, che ritornerà poi in "Corda Tesa" sempre con Eastwood e in "Cruising" di Friedkin con Al Pacino, annulla il dualismo oppositivo Bene e Male, e crea l'antieroe urbano, quello moderno, quello della metropoli. L'Harry Callahan di Eastwood, la cosidetta "carogna" (il "dirty" del titolo), non è un personaggio tipo, uno di quelli fatti e finiti, non è un personaggio unidimensionale. É l'amalgama di più direzioni, di più atomi impazziti. É l'agnello sacrificale che viene pestato a sangue ai piedi di una croce. É il pistolero che sa di sbagliare, ma è l'unico linguaggio che conosce, pur essendo predisposto a ben altro, essendo un essere umano. E questa predispozione etica la rintracciamo negli scarti del personaggio stesso. Prova tenerezza per il compagno di pattuglia ferito gravemente. Ha a cuore le sorti dei compagni. Non uccide l'assassino, ma lo consegna alla giustizia. Vive nel silenzio del dolore per la perdita della moglie. Se poi spara in mezzo alla strada e fa un gran casino, be... è il cinema, bellezza!
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