Regia di David Mackenzie vedi scheda film
Follia è un film in apnea. Come il piccolo figlio di Stella e Max, riemerso privo di vita dalle acque gelide e ricattatorie di un fiumaciottolo, si rinviene dalla visione in uno stato di inquietudine cerebrale ai limiti dell’alienazione mentale. Se da un lato non si può non evidenziare la palese ricostruzione illustratrice (senza mai cadere nel calligrafismo) cara alla buona vecchia scuola inglese, dall’altro non si può, d’altronde, schivare il pericolo di un coinvolgimento da parte dello spettatore assai curioso. Sarà la tecnica registica del diligente ma non ordinario Mackenzie, saranno le avvolgenti e al contempo raggelanti atmosfere fuoriuscite dalle pagine irrequiete di McGrath (di cui consiglio l’altrettanto morboso Port Mungo), sarà quella sottile e sinistra capacità di persuadere e compromettere.
Follia racchiude tutta la sua essenza nel suo insano e laconico titolo, attraverso questa parola breve e dura trasmette la nervosità (non è un film nevrotico sulle nevrosi, ma un film nervoso sulla nervosità) di una storia ossessionata sulle ossessioni del lato oscuro dell’interiorità umana (e della psiche). Un film sospeso sulla corda dell’equilibrio, strutturato mediante un’escalation di turbinose ebbrezze sentimental-tormentose, orchestrato con sui registri del thriller psicologico, sostenuto da mirabili interpretazioni. Non solo la grande interpretazione di Natasha Richardson, che dà l’anima ma soprattutto il corpo alla sua antieroina di inquieta maestosità, ma anche l’apporto dello sfuggente Morton Csokas e, mi pare ovvio e pleonastico ricordarlo, il solito, potente, infido Ian McKellen, deus ex machina delle perversioni del racconto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta