Regia di Satyajit Ray vedi scheda film
Un dramma urbano affascinante nella sua visione sociale, sulle opportunità e i conflitti connessi al lavoro, ai ruoli del genere ed alle necessità economiche, rappresentandone la tensione con la tradizione. Affronta temi di grande modernità come il lavoro femminile e il rivolgimento sociale che esso rappresentava nella società indiana degli anni 60
15ma Festa del Cinema di Roma 2020 – Retrospettiva Satyajit Ray alla Casa del Cinema
Le prime scene ci trasportano nella vita difficile di una famiglia di Calcutta di classe medio-bassa: Subrata è il figlio maggiore di professione contabile, che convive in un modesto appartamento con gli anziani genitori, la sorella, la moglie Arati ed il loro figlio. Le ristrettezze economiche, a cui il solo stipendio di Subrata non riesce a far fronte, spingono la casalinga Arati a cercare lavoro. Il suocero, anziano insegnante, non riesce proprio ad accettare che la nuora debba lavorare, ma i tempi stanno cambiando ed il marito invece la incoraggia a presentarsi a un colloquio: verrà assunta da una ditta come venditrice porta a porta di Autonit, macchina da cucire da proporre a signore di famiglie benestanti. La donna dimostra impegno ed intraprendenza e viene molto apprezzata dal superiore. Quando il nuovo contributo economico portato dalla moglie risolve tanti problemi pratici, ma rischia di mettere in discussione il suo ruolo di capofamiglia, il marito le chiede di licenziarsi, piuttosto lui accetterà un part-time oltre al suo attuale impiego. Senonché la sua banca fallisce e quello di Arati diviene l'unico stipendio. Il disagio di Subrata si accresce quando una collega anglo-indiana di Ararti le presta oggetti “compromettenti”, quali rossetto e occhiali da sole, che agli occhi del marito fanno sospettare e temere di star perdendo la sua donna.
Il realismo dell'autore della trilogia di Apu qui fotografa un contesto urbano, d'altronde Ray è il regista che più di ogni altro ha saputo rappresentare Calcutta e la sua multiforme società sul grande schermo, dandole un spazio nell'immaginario cinematografico.Mahanagar è un dramma sulla vita cittadina, affascinante nella sua visione sociale, sulle opportunità e i conflitti connessi al lavoro, ai ruoli del genere ed alle necessità economiche, rappresentandone la tensione con la tradizione patriarcale. Ray affronta temi di grande modernità come il lavoro femminile e il rivolgimento sociale che questo rappresentava in una società conservatrice come quella indiana dei primi anni 60, che per necessità economica si apre gradualmente e con difficoltà alla modernità.
Con una regia di grande sobrietà ed eleganza, Ray riesce a farci appassionare alle vicende di questa semplice famiglia, specialmente efficace a seguire il risveglio di Arati ad un nuovo mondo di possibilità, in parallelo con la crescente insicurezza di Subrata, senza esprimere giudizi semplicistici. Ray dà anche prova del suo profondo umanesimo, ed esempio nella visita oculistica del vecchio insegnante presso il suo allievo di anni prima, che gli dona un paio di occhiali che l'anziano non può permettersi. Si tratta pertanto di un' opera che conferma l'universalità di Satyajit Ray, autore che, partendo dalle specificità del contesto del Bengala, riesce a rendersi comprensibile e amabile a qualunque latitudine e distanza temporale.
Tanto merito va anche alla superba protagonista Madhabi Mukherjee che, come molte delle donne del cinema di Ray, incarna un archetipo femminile fiero e libero, decisa a non farsi schiacciare dalle imposizioni altrui e anzi dotata di un autonomo senso morale, che si esprime appieno nel finale.
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