Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Roy Ruby è proprietario di un Go Go Dancing Club di Manhattan, un locale di spogliarelli chiamato Paradise. In questa premessa c’è già tutto Abel Ferrara. Che questa volta, sorprendentemente, non infila occhi e mani negli escrementi della morale ma ci danza sopra con divertita leggerezza. Perché Ruby è sì un imprenditore del sesso con il vizio del gioco, ma anche una brava persona, purtroppo sull’orlo del fallimento. La salvezza, come noto, ha molte facce: nel suo caso quella stampata sul biglietto vincente della lotteria, immancabilmente perso chissà dove. Ora, è legittimo che Go Go Tales possa non piacere o essere considerata opera naïve. Quindi critici, personaggi austeri e militanti severi si accomodino pure fuori. Da Paul Thomas Anderson a Soderbergh, dai Coen a Paul Haggis, il cinema americano è pieno di autori intelligentissimi fatti apposta per loro. Noi invece ci teniamo volentieri la sbriciolata poesia del regista underground. Go Go Tales è un film di caratteri che ballano a tempo in un fumoso saloon stile Bada Bing. Papponi, maître di sala con il grugno cockney di Bob Hoskins, uomini d’affari cinesi, una guardarobiera che si chiama Sin (“peccato”) ed è reduce da mille battaglie come la sua interprete, Anita Pallenberg; una “padrona di casa” vecchia malefica (la splendida Sylvia Miles) che irrompe bestemmiando per la mancata pigione, poi si siede, beve, sbraita, spegne un incendio, passa il testimone alle ballerine, tra le quali Asia Argento che adesso, manco fosse una qualsiasi Anna Falchi, ripudia Abel in cerca di chissà quale rispettabilità, ma in scena slingua con trasporto il suo rottweiler. Un freak show raccontato con il solito talento radicale: la lunga sequenza sulle note di Strange di Grace Jones è francamente un capolavoro di intensità, per non parlare del fulminante incipit, con la candida ballerina classica e il movimento di macchina che dall’alto avvolge Willem Dafoe assorto e perso. Certo, il finale è repentino, il budget scarso, i personaggi di Modine e Scamarcio non proprio fondamentali, ma Ferrara è da sempre imperfetto. Questa volta, però, la sua non riconciliazione si tinge di una dolcezza lieve, e lo sguardo vola altissimo.
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