Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Gli angeli della polvere di Abel Ferrara, poesia di desideri nascosti in favole tristi. Sguardo che si moltiplica su un set di un set delle mille e una notte e che racconta della milleunesima, giusto un attimo prima della capitolazione.
E' sempre un cinema religioso quello di Ferrara, è una bolla di redenzione che spinge facendosi largo tra il fango, poichè la natura umana è sempre divina anche mascherata di illusioni, confusa di disperazione, mischiata al profano…..
MILLANTARE. Il cinema è finzione. Sul set romano che si atteggia a newyorkese si conta in dollari, si parla yankee e broccolino e nella falsa notte del Paradise è l’inferno a farla da padrone. Capitali italiani, ormai Ferrara da noi è di casa, in cerca di quattrini per parlare di sé, del suo bisogno di quattrini e soprattutto di qualcuno che creda in lui. Ray Rubin, è Willem DaFoe che è Ferrara sul set romano che si atteggia a newyorkese e cerca soldi per parlare di sé, del suo sogno, del Paradise sull’orlo del precipizio per l’inferno. Soprattutto ha bisogno di qualcuno che creda in lui più di sè stesso. MILLANTARE. Go go girls per Go Go Tales, ragazze al palo dai corpi fasciati di quella classe che solo le paillettes e i lustrini possono donare nel buio elettrico di un night – club per sguardi che quelle paillettes e quei lustrini cercano di evitare accarezzando lembi di pelle, sfiorandola coi dollari. Suona come una cifra iperbolica “millantare”, suona magnificente, invece è falso come i dollari posticci con la faccia di Rubin che i clienti usano per nutrire il sogno delle ragazze.
Lo sguardo di Abel Ferrara scorre su quei corpi, ci scivola sopra col suo cinema lurido ma senza seduzione alcuna, senza attrazione. Guardare e non toccare, dice Bob Hoskin (il Barone) ai clienti e Ferrara si adegua. Ci sguazza felice e libero nel cinema millantato, quello che esibisce senza pudore alcuno con la coerenza del boia che fa quello che deve fare e – dio bono- lo fa bene. Millantare uno spettacolo, il fallimento dell’idea di cinema mutata in mercificazione è ben rappresentata dalla Go Go Girl ballerina classica fallita che può esibire il proprio sogno privato di fronte a un pubblico esiguo e stanco, solo dopo aver esibito il corpo come necessità di sopravvivenza. Distaccato, così è lo sguardo di Ferrara. E conscio del distacco manovra i suoi burattini su un palco che ne divora i sogni, artisti che sono altro, siparietti lasciati alla libera improvvisazione e personaggi lasciati scorrere al loro destino, senza uno scopo, un’etica, un approfondimento. Sono corpi che fanno ciò che devono fare perché sono attori, e il cinema è il palo, e la fortuna arriva sotto mentite spoglie, tutto si risolve quando non c’è nulla da risolvere e ricomincia da capo, senza dramma, senza colpo ferire, senza dolore. Avanti il prossimo, il prossimo numero, il prossimo corpo, il prossimo sogno.
Ferrara è lucidissimo in questo. Questo è il cinema, il “suo” cinema ora. Quello fatto coi suoi lustrini, cuciti in anni di maledetta carriera che ora gli chiedono di sbandierare, basta che faccia il film “di Ferrara”, quello sporco e cattivo, sbrindellato e lacero, cucito con l’esperienza e l’ironia disincantata della vecchia volpe. Il cinema di Ferrara non ha più futuro, ha solo una grande consapevolezza di questo. E quindi i suoi fantocci sono fermi, il loro futuro è MILLANTATO da un piccolo sognatore fermo sui propri sogni, il palco è solo un set dove tutto si ferma e ogni tanto qualche dilettante allo sbaraglio ha la possibilità di togliersi una maschera e metterne un’altra, esibire un talento sporco, imperfetto e disperato poiché il futuro è solo la prossima notte. Il cortocircuito è servito, il cinema religioso, quello della discesa negli inferi e della redenzione del Ferrara del passato ora scorre in circolo sotto l’orizzonte della salvezza, si insegue e si giustifica, si autoassolve e si mercifica. Illuminante a questo proposito il siparietto di Stefania Rocca che vende il suo film al produttore (Andy Luotto) durante un bollente privèe. GoGo Tales è importante per questo, perché è un film talmente falso e ridondante da rappresentare in modo mirabile la struttura che ne governa i destini. Il vero film di Ferrara è al di qua dello schermo, come il Cattivo Tentente era al di qua del finestrino dell’automobile e si faceva masturbare dalla ragazza, ora Ferrara è al di qua dello schermo e quando un autore raggiunge una tale corrispondenza di intenti con una sua creatura bisogna solo riconoscere di essere in presenza di un grande autore. Sarà imperfetto. Sarà discontinuo. Sarà verboso e improvvisato ma Go Go Tales è profondamente umano e vitale. Cinema di passione e talento. Tantissimo.
Unico neo. In mezzo a tanti grandi purtroppo, il film decelera, si ferma e mostra le crepe della finzione solo e solamente quando sono in scena Asia Argento e Scamarcio. Che fanno poco e quello che fanno lo fanno male.
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