Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Soderbergh raduna la truppa e quasi rifà il primo episodio, memore delle cantonate prese nel secondo.
Rispetto al secondo episodio, che è da dimenticare, questo “thirteen” rosicchia la sufficienza, e intrattiene decentemente, anche se va giù leggero e senza tracce, come un bicchier d'acqua.
Soderbergh si era accorto di aver preso una cantonata nell'episodio precedente, che lo aveva visto intento a far vedere quant'era bravo ad intersecare i piani temporali e a raccontare in modo originale.
Qui abbiamo di nuovo una trama (per quanto semplice), la descrizione della preparazione del colpo con le solite meraviglie tecnologiche (spiegate alla sveltina, ma che volete), la compressione temporale come nel primo episodio, e un nuovo sfoggio di lusso di alberghi e di casinò che mungono i ricconi ingenui che ci vanno a gettare via i propri quattrini.
Due parole sugli attori. I “super-fighi” si compiacciono della loro bellezza e gongolano (anche se bisogna dire che Clooney ci regala qualche bella e indovinata espressione), mentre la vecchia volpe Al Pacino è già collaudato come Mefistofele che governa un diabolico e mastodontico marchingegno (come in L'Avvocato del Diavolo). Elliot Gould fa quanto gli viene detto e basta, perché deve aver dimenticato che in un tempo lontano era stato Marlowe in “Il lungo addio” di Altman. Julia Roberts è uscita di scena alla chetichella, senza lasciare la ben che minima traccia nel film. Forse aveva declinato perché le avevano offerto pochi milioni.
C'è spazio per qualche risatina alla fine, quando il il capitalista avido e senza scrupoli viene costretto a fare beneficenza ai bambini orfani...
Insomma, la serata passa senza infamia e senza lode, ma anche senza noia. E senza nessun desiderio di andare al casinò.
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