Regia di Michael Moore vedi scheda film
Il processo di demolizione del mito Americano procede con veemenza. Michael Moore, prende di mira il sistema sanitario dello Stato più Libero al Mondo e lo sega pezzo per pezzo, senza anestesia alcuna, lo smembra facendo digrignare i denti dalla rabbia e dal dolore. Una ferita aperta, ovvero la colpa di essere l’unico stato occidentale a non avere una forma di sanità pubblica, si sovrappone idealmente con una ferita aperta nella carne, ricucita a mano in primo piano da un giovane americano che non avendo l’assicurazione sanitaria né i soldi per una medicazione che da noi sarebbe quasi di routine, preferisce fare da solo. Alla Rambo. E tutta l’iconografia vincente mediata dall’immaginario cinematografico dei film esportati in tutto il mondo dall’establishment hollywoodiano si smaterializza nella tristezza della realtà che irrompe in tutta la sua frustrazione, frammentata dalle lacrime delle vittime di un sistema sanitario talmente assurdo da sembrare una candid camera particolarmente sadica. La sanità gestita completamente dalle compagnie di assicurazione sanitarie provocano paradossi per un essere umano mediamente senziente, assolutamente inaccettabili arrivando a delegare le decisioni delle cure da effettuare al paziente non all’etica del medico preposto secondo il giuramento di Ippocrate a salvare vite, ma al direttore sanitario della Compagnia di Assicurazioni, molto spesso proprietaria dell’ospedale stesso, che valuta la convenienza economica per il proprio datore di lavoro nell’effettuare quel determinato intervento. Si assiste così ad una contro-parata, dopo quella degli eroi dell’11 settembre, dei dimenticati dalla società che premia i sani e i belli e soprattutto i fortunati, eliminando selettivamente i malati, i deboli, gli sfortunati non produttivi tra i quali fanno la loro indifesa figura proprio alcuni dei volontari e paramedici, gli ex eroi di quell’ 11 settembre, che ammalatisi per la troppa esposizione a fumi tossici delle macerie del simbolo Americano abbattuto dai cattivi, vengono dimenticati e economicamente rovinati da una sanità corrotta che per un inalatore d’asma chiede 120 dollari. Liberalità vs Spettro del Socialismo Reale, terrore endemicamente diffuso da anni di propaganda anticomunista, molto più deleterio dell’essere lasciato per strada in caso di tumore. Si perché dall’analisi di Moore, il tentativo di creare una sanità pubblica, programma portato avanti senza successo da Hillary Clinton quando era First Lady, fallì grazie ad una generoso contributo monetario al Congresso da parte dell’ Associazione delle Imprese Assicuratrici Sanitarie e dalla campagna mediatica da caccia alle streghe anni ’50 che paragonavano questa scelta a un primo passo verso una società neo bolscevica. Moore conosce bene i suoi polli di riferimento e dopo una introduzione ad effetto riportando le testimonianze dei casi più eclatanti di menefreghismo sanitario, prende dritto la strada della denuncia, del confronto con altri paesi, il Canada ad esempio o la Francia, senza insistere nell’invettiva generalista esacerbata, che avrebbe fatto sembrare il film un cattivo esempio de La vita in diretta, piuttosto usa l’ironia, un montaggio svelto e inframmezzato di filmati d’epoca, interviste forse a volte un po’ retoriche ma efficaci per stemperare la denuncia senza anestetizzarla e acuendo i contrasti per far risaltare i contenuti tragici dell’opera (l’America è veramente un brutto posto per vivere). Indignarsi si, ma sorridendo. E in questo Moore dimostra di conoscere altrettanto bene il suo lavoro. Mostra la società, così come fece nei precedenti documentari, le contraddizioni, diventa populista quando gli serve la lacrima e istrionico guascone quando in Francia fa finta di stupirsi dell’efficienza del Sistema Sanitario Nazionale. Le stessa scelta delle immagini sono funzionali al sostegno della tesi per cui gli Stati Uniti non sono un bel posto in cui vivere: nelle interviste americane la luce è fredda, da estetista. Le inquadrature in primo piano mostrano volti stanchi e sfiduciati galleggiare in ambienti spogli che sembrano tutti uguali. Sembra che lo schermo trasudi infelicità. Nelle riprese Francesi invece, le luci sono calde, le case ben arredate, gira buon vino e tutto sa di atmosfera di Vecchia Romagna. La gente si bacia per strada, ed è magra. Qualcuno fuma e nessuno lo demonizza. Un paradiso. Arrivando poi a sfiorare il capolavoro retorico - verista portando i suoi malati, i suoi reietti, direttamente in bocca al Mostro. Cuba. Dove in un ospedale modernissimo vengono curati, amorevolmente trattati e dimessi. E dove un inalatore per l’asma costa 5 centesimi di dollaro. Il terremoto è servito, in realtà Moore usa il tema della sanità per minare le basi del liberismo estremizzato e selettivo, il capitalismo spinto che è base dei principi sempre più indotti e sempre meno sentiti dell’americano medio senza certezze, coi figli a morire al fronte, oberato di debiti e reso inerme dal profondo spavento che questa condizione di vita impone. Il Lider Maximo del documentario di denuncia quindi centra ancora il bersaglio con un film più asciutto del precedente e dal tema più impersonale, Fahrenheit 9/11, rispetto al quale era necessaria l'attenzione dovuta alle persone direttamente coinvolte nelle loro umane tragedie decise a mettere “in piazza” la loro storia, senza sciaccallaggi o inutili spettacolarizzazioni. Rimane un film piacevole e agghiacciante al tempo stesso, recuperabile nella memoria storica nel momento in cui a qualcuno venisse la balzana idea di imitare il popolo più libero, più democratico, più ipocrita del mondo: gli Usa. Alla luce soprattutto della classifica stilata da Moore per cui risultiamo al secondo posto al mondo come efficienza del Sistema Sanitario Nazionale. C'è la Francia al primo posto, sempre loro. E abbiamo Materazzi infortunato. Ma questa è un’altra storia. Forse, la prossima di Michael Moore, chissà.
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