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L'età barbarica

Regia di Denys Arcand vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'età barbarica

di pippus
8 stelle

Al termine della visione stavo meditando come per il sottoscritto questo sia un “periodo canadese” di alto livello con il binomio registico Villeneuve / Arcand dei quali penso sia indiscutibile la bravura nel trattare, il primo, problematiche individuali in contesti non convenzionali ( mi riferisco alle sue ultime tre pellicole) e, il secondo, problematiche individuali ma in contesti convenzionali (e qui mi riferisco alle due ultime opere “barbariche” di Arcand).

Leggendo la presentazione della seconda di queste ultime si evince quanto, dopo la visione del film, la definizione “commedia” risulti riduttiva. Arcand, come nel lavoro precedente, ci propone una sottlle meditazione sul malessere psichico del protagonista attraverso quella che definirei una vicenda drammatica o, al più, una particolare commedia surreal/grottesca, interessante quanto intrigante nei suoi molteplici e reconditi messaggi.

Il titolo originale “L’Age de Ténèbres” (l’età, o meglio, l’era delle tenebre) è stato modificato esclusivamente per continuità con il precedente film del quale riprende la grafica della locandina, ma le due vicende non hanno nulla in comune, semmai potremmo sommariamente evidenziare che, se ne "Le Invasioni Barbariche” il tema era incentrato sul fine vita, ne ”L'Età Barbarica” è incentrato sul “cambio vita”.

Le sequenze vertono, con graffiante ironia, su vizi e storture della società canadese (ma potrebbero valere anche in altri ambìti occidentali) in relazione alla loro influenza sulla vita dell’impiegato statale Jean Marc Leblanc, spaziando dal contesto famigliare al contesto lavorativo e, infine, a quel contesto che potremmo definire di “legante generico”, coinvolgendo quindi il protagonista nella sua totalità.

Effettivamente la prima parte rientra tra le commedie, ma quasi subito vira in una impietosa diagnosi di alienata solitudine che, presumo, coinvolga nella nostra realtà quotidiana una certa qual percentuale di individui. Jean Marc, frustrato da una serie di aspetti - che più oltre approfondirò - si è approntato una terapia personale basata sul sogno e sull’immaginazione, un vero escamotage per la sopravvivenza.

 

Presupposti e contesti:

 

- Famiglia-  Jean Marc rientra nella numerosa categoria di coloro che han preso moglie quasi esclusivamente per soddisfare un’attrazione sessuale che, (obnubilando quella razionalità indispensabile per evidenziare eventuali incompatibilità di carattere e interessi), decantate le iniziali anestesie, subiscono il graduale manifestarsi di pesanti problematiche, non di rado causa di incomprensioni e separazioni. La situazione non è molto incoraggiante: alla moglie, impressionante manager immobiliare perennemente al telefono, si aggiungono le due asettiche figlie vittime dell’incomunicabilità da tecnologia. Queste, messe al corrente dal papà dell’intenzione manifestata dalla madre di andarsene verso più gratificanti situazioni sentimental/lavorative, sono in grado di rispondere cinicamente: “be', cerca di trovarne una non troppo stronza”  riferendosi all’eventuale sostituta.

Solo una persona, tra quelle reali della sua vita, non manifesta patologie comportamentali, sostituite però dalle tipiche patologie degli anziani indigenti; si tratta della mamma, ormai ricoverata terminale (in quanto tale, non può più influire sul vissuto quotidiano) verso la quale  Jean Marc nutre tuttora un profondo affetto. 

 

-Lavoro- Jean Marc è un impiegato statale e il suo lavoro, all’interno di un palazzetto sportivo con altri colleghi, consiste nel ricevere il pubblico bisognoso di ogni tipo di assistenza: medica, sociale ecc, per cui gli capitano i casi più assurdi attraverso i quali Arcand, attento osservatore del mondo, esalta le paradossali situazioni dovute alla bieca burocrazia. Burocrazia che supera se stessa quando obbliga la vittima innocente di un incidente stradale (al quale è compito di Jean Marc spiegargli l’impossibile logica) a risarcire una parte del danno provocato alle pubbliche infrastrutture, concausa, esse stesse, dei danni fisici subiti dall’infortunato.

La stessa burocrazia ha messo in atto un controllo anti fumo tipo "Stasi", il quale, attraverso un’apposita pattuglia motorizzata, perlustra in lungo e in largo l'interno e l'esterno del palazzetto, obbligando I fumatori “ non osservanti” a improbabili scene tragicomiche. Il regista è bravissimo poi nello sfiorare il delicato tasto delle ultime “risorse” psico-motivazionali, secondo le quali i lavoratori dovrebbero seguire patetici corsi tenuti da ancor più patetici tutor. Ma il top dell’aspetto “umoristico” (nella sua pateticità), Arcand lo propone con il progetto “Yin e yang” secondo il quale, per ottimizzare i canali energetici, la direzione - ingaggiata una docente di tale filosofia - propone di rivoluzionare la disposizione interna dell’ufficio con tanto di mega acquario per schermare l’improbabile flusso di energia cosmica.

 

Bene, questo lo status di Jean Marc, al quale si aggiunge il “legante generico” che spazia dal frustrante rapporto con i "frustrati" del traffico automobilistico, con cui quotidianamente deve confrontarsi, alle interazioni con il prossimo, compresi i medici di cui si temono le fredde sentenze diagnostiche, alle più disparate e allucinanti situazioni dei suoi “pazienti” (ai quali peraltro confida non poter far nulla per alleviarne la situazione). Proprio lui che ai tempi del liceo era una promessa del giornalismo, del teatro e dell’impegno politico. Ora, all’opposto, questo è il suo “ essere nelle tenebre” dal quale per riscattarsi innocentemente occorrono innocenti espedienti.

 

Da tempo ormai la sua psiche ha adottato la tecnica dell’autodifesa in occasione dei più disparati soprusi; sul lavoro o a casa, Jean Marc si estranea dalla realtà reale per “entrare” in quella virtuale, ed ecco che si ritrova con una bellissima donna sotto la doccia, con una stagista o, piuttosto, una giornalista desiderosa di fare sesso con lui che, a seconda del contesto, appare un grande attore, un acclamato politico oppure un affermato scrittore. Altre oniriche visioni riguardano l’ambiente lavorativo dove, appagantemente, riesce a vendicarsi decapitando l’insulso e ruffiano direttore, oppure a oltraggiare l’antipatica tirapiedi di quest’ultimo favorendone l’abuso da parte di due nerboruti palestrati di colore.

A volte fantastica di interagire con quattro donne simultaneamente, una delle quali è la vice direttore che, in abiti succinti, con un guinzaglio al collo, e spronata dalle altre tre, è costretta a cucinare per lui.

 

Ma lo “status” immaginario è destinato a subire variazioni comportamentali proprio grazie all’abbandono da parte della moglie/manager. Qui Arcand trova modo di stigmatizzare un altro aspetto di quel microcosmo umano che, vittima degli attuali condizionamenti, si rivolge ai cosiddetti “speed date”, vero preludio all’imbarbarimento finale. Jean Marc ha modo di conoscere ben quattro “barbari” di sesso femminile, la prima vorrebbe dei figli, ma Jean Marc è vasectomizzato; la seconda e la terza puntano rispettivamente ed esplicitamente al conto in banca e all’irrinunciabile status simbol relativo al tipo di auto posseduta, mentre la quarta parrebbe animata da più profondi e nobili pensieri che, purtroppo, si riveleranno motivati e “infettati” (altra sagace frecciatina della sceneggiatura) da patetiche quanto ridicole partecipazioni a tornei di stampo medievale nei quali, insospettabilmente, si ritrova un altra tipologia di microcosmo umano che, presentataci in forma ipomaniacale, è alla ricerca di una terapia anti stress.

Bruciata anche quest’ ultima chance, Jean Marc sembrerebbe rassegnato a una vita gratificata solo dall’irreale, dalle allucinazioni visive e uditive che la sua mente elabora per contrastare la frustrante realtà. Ma non è così, il destino ha in serbo per lui un’altra possibilità:

Arcand elabora un finale al contempo intelligente e consolatorio che richiede però, per la sua attuazione, un radicale cambiamento reso però possibile, paradossalmente, dal ritorno a casa della moglie/manager. Ora Jean Marc ritroverà il piglio che già gli aveva permesso di sentenziare alla consorte la frase “ lavorare troppo non è intelligente” , parole pesanti ma giuste per chi non ha mai cucinato alimenti che non fossero surgelati e, peggio, non si è mai occupata di interagire con le figlie e che, per di più, ha come unica motivazione di vita il premio annuale per la “migliore venditrice immobiliare del Canada per le zone periferiche ” . Questa ritrovata forza interiore permetterà il vero cambiamento della sua vita, in primis le dimissioni dal lavoro, e poi il trasferimento nello chalet al mare che era di suo padre. Questo suo nuovo mondo, fatto di quiete, passeggiate sulla battigia, serate davanti al fuoco della stufa a legna, vicini di casa amanti della tranquillità e dediti ad attività per lui inconsuete, si rivelerà una terapia risolutiva. Coinvolto dalla vicina (così caratterialmente agli antipodi dalla sua ex moglie) nello sbucciare le mele per la preparazione casalinga di marmellata, Jean Marc ritrova se stesso senza più la necessità di altre inconsce gratificazioni. I sogni fantastici tornano un’ultima volta per poi gradualmente e permanentemente congedarsi. E la bella sequenza finale delle mele che, con una graduale dissolvenza, virano nella stessa icona della tela di Cezanne, ci riporta l’immagine della sua vita che, in ultimo, ha trovato il giusto equilibrio di una saggia esistenza, al di qua di quell’orizzonte degli eventi che minacciosamente incombe e, potenzialmente, potrebbe fagocitare tutto e tutti nella sua età del profitto e del denaro, ovvero delle tenebre!,

 

Sotto il velo della sarcastica commedia si cela un’opera profonda e densa di significati, spesso sottovalutata forse a causa di una visione non sempre attenta come invece richiederebbe per ottimizzarne la comprensione.

Ottime la regia e la sceneggiatura entrambe di Denys Arcand, come il cast sempre all’altezza, tra I quali spicca Marc Lebrèche perfettamente a suo agio nel personaggio di Jean Marc; altresì valide le figure femminili con la bellissima Diane Kruger e, nella figura del giovane principe che vediamo nelle sequenze iniziali e finali (l’unico “sogno” che non svanirà e continuerà a far visita a Jean Marc) nientemeno che il cantautore Rufus Wainwright.

Da segnalare l’adeguata colonna sonora Di Philippe Miller e la bella fotografia di Guy Dufaux che abilmente ha saputo sottolineare la luminosità delle sequenze finali relative ai giorni nello chalet, differenziandole da quelle  grigie e opache del contesto precedentemente vissuto.

 

 

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