Regia di Denys Arcand vedi scheda film
Dovrebbe chiudere idealmente il discorso avviato con Il declino dell’impero americano e con Le invasioni barbariche, pur seguendo lo stesso schema narrativo, il regista Denys Arcand cerca con L’età barbarica altre modalità di esplicazione del racconto. Se nelle Invasioni l’attesa e il senso della morte venivano quasi edulcorate dagli equilibrismi del figlio del protagonista gravemente malato, che offriva al padre un’uscita di scena moralmente dignitosa e irreale, contornata da amici e compagni di vita prodighi di ricchezza materiale e spirituale, (con l’inevitabile retroscena che ne svelava impietosamente le debolezze), L’età barbarica pur mantenendo la stessa cinica intellettualizzazione racconta uno spaccato di realtà attraverso i sogni e le fantasie del protagonista. Un anonimo burocrate statale, costretto a tirare le somme della sua vita è preda di familiari e colleghi di lavoro opprimenti, tesi solo a sfruttare la sua passività. Per non affrontare seriamente il senso della sua esistenza, si costruisce e si rifugia in un mondo di sogni e di desideri irrealizzabili che lo aiutano a sopravvivere. Il protagonista, Jean Marc, è vessato soprattutto dal genere femminile, madre inferma esclusa, e non è dato conoscere altro punto di vista che il suo, abbastanza squallido e banale come le sue fantasie. Così il film si muove su codici di lettura abbastanza generici e leggeri, finchè il limite massimo di sopportazione non viene superato. Con una serie di trovate non prive di una certa inventiva il racconto diverte, il protagonista costruisce il suo modestissimo riscatto uscendo gradualmente da quel mondo immaginario per farlo vivere nella realtà circostante. La regia però resta ancorata alla miniaturizzazione cerebrale del personaggio, lo eleva indiscutibilmente a vittima dello stato delle cose, e sommariamente assolve la sua precedente passività senza offrirgli un vero e proprio scatto di rottura con il mondo. Film che non incanta e neanche irrita, denuncia i rimedi omeopatici alla logica e grigia linea di galleggiamento che demarca il malessere quotidiano senza svelarne neanche una fonte. Prima dell’uso, leggere data di scadenza.
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