Regia di Wong Kar-wai vedi scheda film
Uno splendido film sulla distanza. Fisica e geografica, ma anche (e soprattutto) emotiva ed esistenziale. La distanza come spazio da colmare per giungere all’altro, o per perderlo definitivamente. Wong Kar-wai rielabora quindi un grande mito americano, quello del viaggio, per parlarci delle sue (e delle nostre) solitudini. Vuoti dell’anima, parole non dette, presenze mancate, porte non aperte: questi sono i chilometri che ci separano. Da noi stessi forse ancor più che dagli altri. Questo spazio dell’anima è una strada interiorizzata (da percorrere in automobile, illusorio –e agognato- mezzo di fuga), un percorso profondamente individuale, un luogo in cui perdersi o ritrovarsi, (tutti grandi “topos” della letteratura americana). America, dunque. Terra di sconfinati spazi, e di sconfinate solitudini. E violenza. Una violenza latente, nascosta, fuori-campo (o fuori-fuoco), ma comunque sempre presente, sempre “dietro l’angolo”. Quella inutile scia di sangue che bagna il volto dei due protagonisti (come non accostarla al succo del mirtillo) è un po’ il “filo rosso” del film, quello che ci porta sulla soglia del cuore oscuro dell’America, quello che si intravede dietro alle dipendenze (dal gioco, dall’alcol), alle rapine, alle risse, alla violenza improvvisa. E il grande merito di Wong Kar-wai in questo film è quello di fondere gli elementi costanti della sua poetica (le profonde solitudini, il lento svanire del tempo e dei sentimenti..) con gli elementi propri del luogo America, in una ricerca non solamente formale. Certo, la componente estetica rimane comunque una costante, anzi quasi sempre è la componente predominante, e non si tratta solo della lussuosa fotografia di Darius Khondhji, ma anche della frammentazione “pittorica” dei fotogrammi, o del lento movimento della camera che avvolge i personaggi, o la preziosa colonna sonora, ma non dobbiamo dimenticare che il cinema di Kar-wai è anche (soprattutto?) una grande dichiarazione d’amore verso l’immagine, in ultima analisi verso il cinema. La grande forza del cinema d’altra parte sta nell’immagine più che nella parola e anche l’estetica –se padroneggiata con tale abilità- è un mezzo, con un suo significato autonomo, non soltanto un contenitore vuoto. Un’estetica in fondo consolatoria, che ci fa dimenticare -o che almeno ci rende più sopportabili- i grandi vuoti e le distanze che continuamente ci attraversano..
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