Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Una donna va a trovare un condannato a morte, inscenandogli spettacoli che gli consentano di godere ancora della vita. L’uomo dimostra di non voler morire per mano della legge: questo scuote, oltre che la donna, anche i suoi bizzarri compagni di cella.
Quello di Ki-Duk è il cinema dei silenzi plastici, del montaggio che funge da protagonista aggiunto, di un simbolismo iconico ritrovato. Non che l’assenza di musiche o il diradamento dei dialoghi siano una novità nella poetica del regista coreano, ma stavolta più che in altri casi il silenzio aiuta lo spettatore a riflettere sui numerosi argomenti tirati in ballo. Tra questi ultimi danno sensazione di dejà vu la tematica delle quattro stagioni, nonché dell’amore surreale e contrastato, già visti in “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera” e “Ferro 3 – La casa vuota”, mentre risulta interessante il tema della regia occulta degli incontri tra la visitatrice Yeon e il condannato a morte Jin. Presentato a Cannes nel 2007, probabilmente non è il miglior film del fenomenale autore coreano, ma è pur sempre coerente.
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