Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Bellissimo film di Kim Ki-Duk che si riallaccia brillantemente all'altrettanto affascinante "Ferro 3", di cui ripercorre temi e modi con fervida ispirazione. Colpisce soprattutto l'eleganza e la trasparenza con cui il regista coreano governa la struttura a spirale della narrazione, fondata sulla ripetizione di pattern narrativi con graduali variazioni, come nella miglior musica minimalista (Steve Reich). Privilegiando il gesto senza mortificare la parola, ricorrendo al simbolismo senza cadere nell'ermetismo, lasciando trapelare spiragli di disperato umorismo, Kim Ki-Duk riflette sullo scorrere delle stagioni ("Primavera, Estate, Autunno, Inverno...e ancora Primavera"), sul mutismo come condizione esistenziale, sulla necessità dell'immagine (e dell'immaginazione, intesa anche come creatività artistica, rappresentata dalla scultrice/tappezzatrice) per evadere dalla prigionia della vita, sui concetti di presenza/assenza, percezione del reale e modalità di sguardo (riprendendo il discorso di Antonioni), sul voyeurismo, sull'infelicità della donna all'interno della soffocante famiglia borghese. I momenti migliori sono forse quelli musicali: anzitutto, i tenerissimi e imbarazzanti spettacoli kitsch allestiti dalla donna per l'ex-moroso carcerato, e poi quel finale di pura poesia, tragico eppure lieve, dove Eros e Thanatos irrompono come nell'Oshima più estremo.
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