Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Il risvolto romantico dell'approssimarsi della morte è la speranza in una possibile rinascita: un risorgere nei tratti essenziali della natura universale, che non conosce i tempi artificiali della società umana, ma solo i movimenti planetari ed il ciclo delle stagioni. E' in questi principi intramontabili che risiede la bellezza della vita; si trova lì quel fondo di ricchezza inestimabile che, negli istanti estremi, vorremmo chiudere in un forziere, come tesoro per l'eternità. Cogliere, infine, quello splendore, quando si è sul punto di lasciarlo, è un viatico meravigliosamente doloroso: e, allora, l'uscita dalla vita diventa quasi desiderabile, per risolvere, in un colpo, quel lancinante addio, ossia per dimenticare tutto e subito, e magari ritrovarlo trasfigurato nell'aldilà. La vita scopre sempre troppo tardi il proprio valore, quando l'imminenza della fine condensa i pensieri e concentra le emozioni: il tempo compresso - che la protagonista propone, come una recita cantata, al detenuto prossimo all'esecuzione – è l'esistenza che decide di riassumere se stessa, sapendo di non potere andare avanti. Però il tasto del rewind veloce, riproponendo una versione accelerata del passato, risveglia il senso del tempo che si è perduto. Recuperarlo diventa allora l'ultimo, imperioso desiderio: trovare un significato, un gesto, che coroni il percorso di una vita, un punto finale in cui far convergere tutti i perché. In "Soffio" questo traguardo non è un atto pubblico e magari clamoroso, che consegni chi lo compie alla memoria storica o all'onore degli altari. Non è nemmeno un atto singolare e irripetibile, posto a suggello dell'individualismo del morente. E', invece, un banale atto d'amore, consumato in maniera semplice e normale, senza profondità, ma con il marchio a fuoco di una vitale, incontenibile ed illimitata voglia di sognare.
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