Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
La visione di Soffio mi ha lasciato talmente perplesso che per riuscire a elaborare quanto visto ho dovuto subito rivederlo un'altra volta.
Dopo la caduta rovinosa di Time, Kim Ki Duk sapeva che non poteva sbagliare di nuovo.E , a mio modesto parere , ha deciso di non rischiare.
Ha guardato al suo passato glorioso e poetico, alla scansione stagionale di uno dei suoi titoli più noti( Primavera,estate, autunno, inverno...e ancora primavera) e alla sospensione della verosimiglianza che aveva fatto dello splendido Ferro 3- La casa vuota, uno dei gioielli più preziosi della sua filmografia.
Non sappiamo il perchè una donna tradita e umiliata da un marito fedifrago si riesca a innamorare di un condannato a morte maniaco suicida, come le venga permesso di visitarlo così facilmente in modo da far nascere una passione incoercibile, è veramente surreale che la storia ci venga raccontata attraverso la mediazione delle telecamere a circuito chiuso del carcere che vengono dirette dal direttore esattamente come farebbe un regista cinematografico.
E a chi viene affidata la parte del direttore del carcere che vediamo solo riflessa sullo schermo?
A Kim Ki Duk stesso.
Perchè questo? Un delirio narcisista? Un overdose di autoreferenzialità?
E'indubbio che Soffio contenga delle pagine assai suggestive: le visite alla prigione alimentano il crescendo dell'attrazione e della passione, la casa in cui vive la donna, col suo arredamento geometrico e spigoloso è allo stesso tempo il mausoleo di un amore forse irrimediabilmente perduto e un ambiente claustrofobico come può essere la squallida prigione in cui è rinchiuso il condannato, da esplorare anche il rapporto che ha costui con uno dei suoi compagni di cella, omosessuale, che vive una sorta di competizione con la donna allorchè comprende la relazione tra i due che sta nascendo e crescendo col tempo.
E poi i simboli di cui il film è disseminato:i pupazzi di neve che formano una famigliola che si scioglie al sole, la fotografia, la scultura che viene distrutta dalla sua creatrice, i capelli presi come feticcio.
Il cinema del maestro coreano si dimostra ancora una volta molto potente dal punto di vista visivo, eversivo per come riesce a narrare un sentimento impossibile quasi con noncuranza, radicale per come rifiuta la linearità e la verosimiglianza del racconto.
E'evidente che il cinema di Kim Ki Duk preferisca affidarsi a simboli e a immagini, alle musiche, ai suoni, addirittura ai rumori più che alle parole inadeguate col loro senso compiuto a racchiudere l'emozione e le sensazioni che scaturiscono da questo afflato di vita che la donna vuol vivere e vuol togliere al condannato.
Soffio è un film complesso, ermetico nelle sue simbologie, ma di grande fascino.
Sarebbe stato un capolavoro se negli occhi non avessimo già il precedente cinema di Kim Ki Duk( che qui tende all'autocitazione, colpevolmente) e se non si avvertisse quel senso di autoreferenzialità mascherato da metacinematografia.
autoreferenziale
molto bella e brava
notevole
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