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Love letter

Regia di Shunji Iwai vedi scheda film

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La recensione su Love letter

di pazuzu
8 stelle

Il mio amore cavalca il vento del sud / corre verso l'isola tagliando il vento blu.
(dal brano Aoi Sangosho di Seiko Matsuda, 1980)


A due anni di distanza dall'incidente che le ha portato via il promesso sposo, Hiroko presenzia alla cerimonia di commemorazione della sua morte, finendo poi in casa della promessa suocera a sfogliare il suo annuario scolastico. Appreso che prima di trasferirsi a Kobe e conoscerla aveva vissuto ad Otaru - nell'estremo nord del Giappone - in un'abitazione successivamente buttata giù per far spazio a un'autostrada, Hiroko decide di annotarne l'indirizzo, trovato elencato nel libro con quelli degli altri alunni, e impulsivamente spedirvi una lettera destinata a lui: un gesto di simbolica disperazione, un messaggio per il Paradiso utile a dar sfogo ad una dipendenza emotiva mai superata. Che però, inaspettatamente, riceve una risposta a stretto giro: poche righe e la firma con il nome del defunto, Itsuki Fujii. A scriverla, ovviamente, non è stata alcuna anima appesa, bensì una ragazza che allora frequentava la stessa classe ed aveva lo stesso identico nome del suo amato: semplicemente, Hiroki aveva trascritto dall'annuario l'indirizzo sbagliato.
Se inizialmente all'emozione mista a sgomento dell'una corrispondono la diffidenza e la ritrosia dell'altra, pian piano le due - mantenendo il loro rapporto esclusivamente epistolare - entrano in confidenza, e se da un lato Itsuki prende progressivamente gusto a condividere qualsiasi ricordo gli sovvenga sul conto del suo omonimo, dall'altro Hiroki, che gliene ha taciuto la morte, scopre di avere con lei una somiglianza fisica talmente impressionante da trovarsi costretta a mettere in discussione il colpo di fulmine sul quale la storia con lui si diceva fosse fondata, arrovellandosi su interrogativi dall'impatto terribile: Itsuki l'aveva amata davvero? o l'aveva vissuta soltanto come la proiezione d'un vecchio sogno d'amore taciuto?


Targato 1995 e seguito ad una serie di mediometraggi e film per la tv, Love letter è la prima prova cinematografica sulla lunga distanza di Shunji Iwai. Accompagnato per la seconda volta (la prima fu per i 47 minuti di Undo l'anno precedente) dal direttore della fotografia Noboru Shinoda, dal quale diverrà pressoché inseparabile fino al sopraggiungerne della morte (nel 2004), Iwai concepisce un film nel quale i rapporti umani vengono codificati secondo il linguaggio della memoria, sottoposti al vaglio del tempo e filtrati attraverso il nero volto della morte, riesce ad affabulare con immagini cariche di espressività, e con astuzia e garbo fa sì che la sostanziale inverosimiglianza di fondo del racconto non tolga nulla al prodotto finale, ma anzi contribuisca ad alimentare un'atmosfera sospesa e vagamente fiabesca. Che sia dettato dal caso, dal destino o da un abile sceneggiatore, il tragitto che conduce le protagoniste (interpretate entrambe con versatilità e trasporto dalla stessa attrice, Miho Nakayama) fuori dagli universi immoti in cui s'erano rispettivamente confinate non appare mai posticcio, seppur approcciato dalle stesse in maniera non del tutto consapevole quando non involontaria.
Nelle due ore che Iwai impiega per mostrare le evoluzioni di questi due percorsi paralleli ed inversi, il presente si scontra col passato, che irrompe in numerosi flashback ambientati ai tempi della scuola generando un corto circuito emozionale, e dal sottile velo di amara ironia che ricopre il romanticismo del tutto emerge la scelta, tanto didascalica e lineare da colpire nel segno, di celare beffardamente le risposte tanto attese tra le pieghe di un libro, e non uno qualunque ma un'opera che, se non fosse intoccabile in quanto capolavoro assoluto della letteratura, avrebbe potuto fornire al film un titolo alternativo ben più adeguato del canonico originale: Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

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