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Alexandra

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Alexandra

di Peppe Comune
8 stelle

Alexandra Nikolaevna (Galina Vischnevskaya) è un'anziana donna che fa un lungo e massacrante viaggio per andare a trovare Denis (Vasily Shevtsov), il nipote che è un ufficiale dell'esercito russo in servizio sul fronte ceceno. Vive in caserma per tutto il tempo del suo soggiorno e le sue gambe malandate non gli impediscono di perlustrarla in lungo e in largo. Esce anche per andare al mercato e qui conosce Malika (Raisa Gichaeva), una donna cecena che gentilmente la invita a casa per farle riposare le gambe e offrirgli del thè.

 

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Alexandra - Galina Vischnevskaya

 

Secco e diretto come forse non lo era mai stato, Alexander Sokurov, sullo sfondo del tenero rapporto tra nonna e nipote, ripropone il tema della "banalità del male" già mostrato nella "trilogia dei potenti" secondo una cifra stilistica molto meno tendente allo sperimentalismo più disparato ma non per questo priva di conclusioni parimenti all'altezza del suo genio registico. Se nella trilogia  Sokurov sembrava suggerirci, con l'insegnamento della Arendt, che a scrutarli nell'intimo questi grandi si scoprono più dei capi burocrati che dei filosofi del male e che la loro intrinseca pericolosità sociale deriva più dalla banalità di scoprirli molto somiglianti alle persone ordinarie che nell'eccezionalità della loro posizione di comando, in "Alexandra" la banalità del male risiederebbe nel fatto che in quelle terre la guerra è diventata una tragica abitudine e la si accetta con un fatalismo che lascia poco spazio alla volontà di cambiare rotta. Alexandra è una donna fiera e tenace, non vuole saperne di starsene ferma a riposare e si muove con fare indagatore, come se stesse passando in rassegna tutti gli effettivi della caserma, e vi scopre la noia delle incombenze rituali, il volto bambino dei soldati e la certosina cura delle armi di cui si ode forte il tintinnio del ferro, l'odore di morte che emanano. La logica della guerra presente all'interno della caserma contrasta col desiderio di stringere rapporti umani fuori di essa, dove Alexandra è introdotta da Malika in un universo femminile naturalmente incline a concedere affetto disinteressato. Quasi alla maniera di Mizoguchi, Sokurov tratteggia un quadro d'insieme in cui la guerra è un affare per soli uomini e alle donne è riservato il compito di mitigarne gli orrori. "Gli uomini possono essere cattivi, noi donne ci sentiamo subito sorelle", dice Malika ad Alexandra, parole che segnano la differenza tra chi, essendo  abituato a fare la guerra, la vive ormaicome un logico corollario della propria vita, e chi, usando la forza della ragione, può capirne meglio gli effetti devastanti. La dualità uomo donna rispecchia la struttura rigidamente patriarcale della società russa ed è rafforzata dallo scarto generazionale tra uomini e donne dato che sono tutti giovani i primi e tutte anziane le seconde. Ciò suggerirebbe la contrapposizione tra chi opprime, in forza del maggior potere conferitogli dalla situazione storica contingente, e chi è oppresso, in ragione di una storia che lo ha visto sempre sottomesso. "Alexandra" è un film contro tutte le guerre ma non necessariamente antimilitarista vista l'indulgenza che Sokurov usa verso questi soldati poco più che bambini, ragazzi cresciuti nel ventre di guerre fratricide, educati a diffidare sempre dell'altro, a vincere la paura attraverso l'annientamento del "nemico". Ragazzi che si avvicinano ad Alexandra anche solo per sfiorarla, accarezzarla, con la tenerezza di chi agogna un pò di normalità domestica, quella che lei vorrebbe per il nipote Denis. Lo esorta a prendere moglie, è nauseata dal suo orgoglio militare, "sapete solo distruggere, ma quando imparerete a costruire", dice Alexandra al comandante della caserma, parole che sono tanto un'invettiva forte contro le logiche guerrafondaie, quanto un invito alle nuove generazioni di riprendersi le proprie vite, il potere di decidere del proprio destino, di emanciparsi da una logica di vita che è ormai diventata una banale abitudine.

 

 

 

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