Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film
Splendido film che cresce di minuto in minuto, dopo una prima mezzora volutamente piatta ed espositiva. La scelta di Mungiu di insistere sulla strada di un realismo apparentemente senza aggettivi, derivazione prosciugata ed ascetica dello sguardo morale dei Dardenne, si rivela sterile solo per il primo quarto di film, dopodichè fa esplodere tutta la sua sconvolgente forza espressiva. La tecnica pedinatoria può dirsi certo inflazionata nel cinema impegnato contemporaneo, ma in questo film riesce a farci percepire il respito affannoso di Otilia, il suo sguardo sconvolto, l'angoscia senza requie di una vittima della miserabile Romania dei Ceausescu: attraverso questa tecnica di zavattiniana memoria, qui violentata e ricaricata di senso, Mungiu ci fa sentire (prima che vedere) l'atmosfera plumbea di un Paese allo sbando, di una società da incubo...Conta molto anche il sonoro in questo film, fateci caso: gli schiamazzi nei corridoi, constrastanti con la solitutine dei personaggi (le due amiche rimangono "sole" nel momento del bisogno reciproco), ma soprattutto il rumore del feto che batte contro il fondo del bidone...da brividi: Mungiu ce lo scandisce nitidamente, nel cuore della fredda notte romena...Un'altra tecnica comune è l'inquadratura laterale dei volti, così ricca di risvolti, così insolita, forse bergmaniana, così ambigua, così fredda e distante, così dolorosa e straziante...Sarà difficile dimenticare il volto esangue e sgomento di Otilia, quel suo sobbarcarsi tutto il malessere di un Est europeo destinato all'infelicità...un volto "anni 80", eppure estremamente attuale, eterno direi...Ma sarà dura dimenticarsi anche di Bebe, personaggio fra realtà e metafora, personificazione di un Male tutto al maschile, catalizzatore di una crudeltà così radicale da acquisire ad un certo punto, per paradosso, il ruolo di "coscienza" per le due ragazze: "Ma cosa credevate di fare?!". Ammirevole la capacità di Mungiu di inserire discorsi trasversali sulla solitudine della femmina, l'ipocrisia del maschio, la vacuità della borghesia tardo-comunista e dei suoi soffocanti riti familiari senza farli pesare, così come senza banalizzarli, evitando di scadente nella pletorica rassegna di temi caldi...Altro merito di Mungiu: l'aver realizzato un film d'autore in forma di thriller ad altissima tensione. Del tutto assenti (o casuali) i riferimenti all'effimera estetica del Dogma 95, sorpassato e, in fin dei conti, deleterio retaggio degli anni 90, dalla quale Mungiu vede bene di stare alla larga: le drammatiche peripezie di Gabita ed Otilia non avrebbero meritato un'estetica così squallida. Non ho idea di come abbiano reagito i fondamentalisti pro-life o pro-choice alla visione di questo film, ma ho come l'impressione che entrambi gli schieramenti siano rimasti spiazzati dall'inedita complessità e trasparenza con cui viene trattato il tema dell'aborto: è l'ennesima dimostrazione di come il grande cinema sappia andare oltre i fanatismi dei "pro/contro a tutti i costi", proponendo nuovi modi, nuove ottiche con cui affrontare i problemi...Infine, "Non parleremo mai più di questa cosa" implora Otilia prima di guardare in macchina: è la preghiera della Romania, che vuole tagliare i ponti col turpe passato recente.
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