Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Per quanto mi riguarda, mi resta difficile esprimere un giudizio complessivo sull'opera ancora non corposa ma già significativa del regista turco-tedesco Fatih Akin, che ha alternato opere interessanti, problematiche, dolorose, complesse e rabbiose, in particolar modo sulle questioni attinenti all'immigrazione, turca e non solo, nella Germania dei nostri giorni, ad altri polpettoni, talvolta di grande impegno produttivo, quanto di scarsissimo spessore artistico.
Per fortuna, Ai confini del paradiso fa parte della prima categoria. È, infatti, una storia a più voci, ambientata tra la Germania e la Turchia, dove si svolge una parte importante della vicenda, ampliando in qualche modo l'epilogo della Sposa turca. Il film di Akin fonde in maniera armonica diverse tematiche, dall'incontro/scontro tra le generazioni a quello tra le diverse culture, dal disadattamento creato dall'emigrazione alla ricerca delle proprie radici, fino alla mancanza di democrazia nella Turchia moderna e alla sfiducia nelle possibili soluzioni riposte nella sempre più fantomatica Unione Europea.
Ai confini del paradiso (ma il titolo originale suonava come un più appropriato Dall'altra parte) non lascia un personaggio più sfocato rispetto agli altri ed anche se emerge tra tutti quello della giovane e un po' confusa ribelle Ayten, in questo senso il film di Akin ha un suo equilibrio. Per di più, rifugge da soluzioni facili (si ferma prima della possibile riconciliazione tra Nejat e il padre), eclatanti o manichee: la morte arriva quasi per caso, in forma anche stupida e nasce più da circostanze fortuite che dalla malvagità umana, sebbene resti sempre in agguato.
Gli interpreti forniscono adeguato supporto alla narrazione di Akin e, nonostante che, almeno nella seconda parte, il suo personaggio sia quello più incline ad alcuni stereotipi, si rivede con piacere Hanna Schygulla, invecchiata con dignità ed ancora attrice di indubbio valore.
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