Regia di Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud vedi scheda film
Nel 1978 il rovesciamento dello scià di Persia porta alla creazione della Repubblica Islamica dell’Iran. Un evento epocale per il Medioriente, ed in particolare per la piccola Marjane, il cui spirito di libertà e democrazia intriso nel DNA familiare si palesa fin dalla fanciullezza… Da questo evento storico in avanti, fino agli anni ’90 inoltrati, attraverso gli occhi della protagonista, adolescente prima e adulta poi, il film ci racconta la storia di un paese, e parallelamente di una delle sue tante donne, sempre all’erta nel ganglio delle ontologiche contraddizioni di un popolo continuamente alla ricerca di un equilibrio.
Per ottenere condizioni di vivibilità accettabile, Marjane è costretta a partire, emigrando verso l’Austria prima e la Francia poi, perdendo aderenza fisica col suo paese d’origine, ma non l’interesse né il sentimento: “La libertà ha pur un suo prezzo”, la frase che chiude il film, è una rassegnata chiosa accomunabile a quella di Ugo Foscolo nell’ode alla sua Zante.
La rivoluzione auspicata dalla popolazione iraniana per ottenere condizioni più democratiche si conclude con un rovinoso attracco ad una dittatura ancor più repressiva: la Repubblica islamica ha paura di occidentalizzarsi troppo, per cui reprime, controlla, stronca… La ricerca dell’emancipazione del popolo cozza con il tentativo perenne di repressione da parte del governo: ecco i due estremi di una storia reale (di fatto autobiografica), narrata attraverso disegni animati quasi totalmente in bianco e nero, dove il bianco o il nero non affascinano tanto quanto le sfumature di grigio: status cromatici intermedi che appaiono come una metafora della società iraniana, che prova a stabilizzarsi tra il bianco della libertà ed il nero della repressione. L’escamotage del disegno animato è necessario a Marjane Satrapi (disegnatrice delle strisce da cui è nata l’idea del lungometraggio, diretto da lei stessa insieme a Vincent Paronnaud) per esporre al resto del mondo in maniera evidente, a tratti addirittura didascalica, la condizione di un’intera popolazione. “Persepolis” è un film politico che prova ad aprire gli occhi dello spettatore (come hanno provato i connazionali Panahi e Makhmalbaf) sulle contraddizioni di una terra che appare una perfetta commistione tra Oriente ed Occidente, pronta a sfaldarsi e a sfuggire dalle mani di coloro che provano ad inquadrarla nei canoni di una distaccata e logica razionalità. L’Iran è la terra del vorrei ma non posso, il punto intermedio tra progresso ed arretratezza, dove una donna è obbligata a una certa lunghezza del velo, dove un uomo non può bere alcolici, dove un cittadino deve avventurarsi nel mercato nero per trovare l’ultimo album degli Iron Maiden!
Sul piano estetico, a parte Dio che somiglia (e parla) come il Gandalf de “Il signore degli anelli”, il film è sorprendentemente affascinante, tanto che, considerati anche i contenuti e l’originale veicolazione del messaggio, non appare uno scandalo il premio della Giuria a Cannes 2007. Le voci italiane sono della Cortellesi, di Castellitto e di Licia Maglietta, mentre nella versione originale i titoli di coda riportano il nome della Rossellini.
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